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Archive for dicembre 2009

Considerazioni 3

Ho sentito dire che l’Amministratore Delegato delle Ferrovie dello Stato avrebbe consigliato gli italiani in un modo semplicemente assurdo. E cioè di portarsi in treno un panino e una coperta.
I panini sono per tirarli in faccia ai dirigenti ? Le coperte per soffocarli ? Per non permettere loro di continuare ad insultare gli onesti cittadini ?

Nello stesso modo come penso si debba sforzarsi per dare sollievo ai cittadini che soffrono e fare in modo che non soffrano, e questo è sicuramente il compito, sovente disatteso, dei Sanitari (colla esse maiuscola), analogamente bisognerebbe fare in modo che i mezzi pubblici funzionino quasi alla perfezione. Il cittadino paga un biglietto, nello stesso modo come chi scrive una lettera appiccica il francobollo sulla busta. Ma perchè il mezzo pubblico deve poter non funzionare come si deve ? E perchè la lettera scritta (col francobollo sulla busta) deve potersi smarrire ?

Vi sembra giusto ?

Ma i mezzi pubblici devono funzionare solo quando tutto è normale? E nell’emergenza ? È proprio nelle situazioni particolari che i mezzi pubblici « devono » essere efficienti.

Il capitano di una nave dimostra le proprie capacità quando si presentano delle anomalie da affrontare.

Nello stesso modo i dirigenti di trasporti pubblici urbani dimostrano la loro maestria di fronte appunto a situazioni anomale. Se poi le « situazioni anomale » sono quasi normali e per giunta annunciate come una semplice nevicata, i nostri dirigenti riescono a dimostrare la loro incapacità e imperizia.

È quanto accaduto non più tardi di tre giorni fa qui a Lugano.
Un paio d’ore dopo l’inizio della nevicata, pertanto annunciatissima, sembrava che i mezzi pubblici (autobus nuovissimi) fossero svaniti nel nulla.

Mi sono permesso di scrivere questa Mail all’Azienda TPL di Lugano. Ho aggiunto un tapiro d’oro.

Se un numero maggiore di utenti seguisse il moi esempio forse (ma molto forse) qualcosa migliorerebbe.

Gentili Signore e Signori,

Ieri sera ho dovuto aspettare il Bus circa 40 minuti. Era un momento della giornata che, secondo l’orario, avrebbe dovuto mettere a disposizione della clientela, un bus ogni 10 minuti. Nevicava!
Posso capire certi ritardi. Infatti normalmente d’inverno non nevica mai; inoltre le previsioni del tempo davano 22 gradi all’ombra!
Per voi dirigenti deve essere stata una giornata terribile. Dimostrare la vostra incompetenza di fronte a tutte quelle persone benpensanti che hanno pagato, e pagano regolarmente, il titolo di trasporto!
Spero veramente che in futuro vogliate essere un po’ piu’ responsabili verso i vostri “contribuenti”.
Coi migliori saluti
Quarchedundepegi


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SOTTOLINEARE 1

SECONDA PARTE

Il nostro “cittadino” comincia a disperarsi. Sembra che quella porta non voglia proprio aprirsi per lui. Malgrado i medicamenti che ha preso, i dolori sono sempre più intensi. Prima di partire da casa sperava nei medicamenti che gli avrebbero iniettato appena arrivato in ospedale; gli avrebbero permesso di “respirare” un poco.

Era al di là di quella porta che avrebbe potuto sentir crescere l’ottimismo e il benessere…
O diminuire la sofferenza.

Ma i medici cosa stanno facendo? Perché non gli danno una mano? Perché non vogliono ascoltare quei sommessi lamenti?

Sto cercando di descrivere il disagio di chi “sofferente” non viene “aiutato” come di dovere. È una doppia sofferenza.
Arrivando in ospedale credeva di non farcela più. Più i minuti passavano e più cresceva lo sconcerto e l’impressione che l’aiuto non sarebbe più arrivato.
Gli manca il coraggio di urlare la propria rabbia di fronte allo scostante menefreghismo che considera solo l’economia e le statistiche. L’urlo non esce dalla bocca perché esiste ancora l’educazione… e la speranza di vedersi aprire quella dannata porta.

Quella porta si aprirà dopo due lunghe interminabili ore.

Le foto di Rodi non sono collegate allo scritto. Danno però una piacevole nota di colore.

Ora finalmente ci sarà un intervento responsabile da parte di un medico! Ma questo lo pensa il “benpensante”!
Ora è quasi peggio di prima. Il nostro cittadino che sta cominciando a perdere le forze e la capacità di reagire, viene invitato a coricarsi su una barella coll’ordine di liberarsi di ogni indumento. Gli viene cosegnata una camicia un po’ più lunga del normale e aperta dietro. L’ambiente è pervaso da un’aria condizionata piuttosto fresca. Il sofferente, che ha freddo a causa dei dolori, si trova ad avere ancora più freddo! Spera che, finalmente, qualcuno si preoccupi per lui e gli inietti un buon medicamento. Non ne può più. Vorrebbe sentir cessare o diminuire i dolori.
Non è stato ancora visto da nessun medico. Il dolore diventa statistica quando gli viene chiesto:”Quant’è il dolore da 1 a 10?”
Ma lui non ne può più dal dolore. Vuole essere visto da un medico che possa prendere provvedimenti… che gli faccia passare il dolore. Ha male!
Rimane posteggiato sulla barella in uno pseudostanzino. Le pareti sono delle tende che servono per salvaguardare la privacy.

Ho dimenticato di dirvi una cosa molto importante. Il nostro cittadino è un medico e spererebbe in un pizzico di considerazione. Che illuso! Sanno che è medico ma si rivolgono a lui, educatamente, come a tutti gli altri. È giusto; più che giusto!

Di fronte alla sofferenza sono tutti uguali!

I minuti, sempre più interminabili, passano inesorabilmente. Finalmente arriva il collega. Si informa ma non fa ancora nulla per sbaragliare il dolore.

Agirà. Dopo altri interminabili minuti “scatta” la decisione di lenire il dolore; quel fantastico medicamento “raggiunge” l’organismo del nostro cittadino che può ricominciare a sorridere.

Ora vi chiedo un piccolo sforzo di empatia. Considerate quel cittadino che arriva in ospedale dopo ore di sofferenza a casa. Sperava che i “suoi” medicamenti avessero la meglio. Niente da fare. Si va in ospedale, si fa un’anticamera di due ore e, quando si vede il medico e si spera in un risultato veloce, si deve aspettare ancora.

La medicina che cura cerca raramente di andare alla radice e chiedersi il perché di una certa patologia.

Vi siete chiesti il perché di tutte queste lunghe attese? Che ne sarà stato di tutti i “sofferenti” dopo il nostro cittadino?

In futuro cercheremo di dare una risposta a questo inquietante quesito. In fondo in fondo, tutto considerato, trattandosi di ordinaria amministrazione, ci chiediamo qual è la ragione che “spinge” o “permette” la sofferenza più del necessario.

L’ospedale ha dei doveri!
L’ospedale dovrebbe essere al servizio del cittadino.

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SOTTOLINEARE 1
PRIMA PARTE

Desidererei con la presente sottolineatura dare vita ad un passaggio dell’Articoletto 2.
Sarebbe mia intenzione mettere l’accento sulla sofferenza di chi, sperando, attende aiuto.
Non lo scrivo per me. Lo scrivo perchè gli “ADDETTI AI LAVORI” devono sapere quanto possono far piangere il loro prossimo.
Gli ADDETTI AI LAVORI non sono solo il personale medico e infermieristico ma anche i colletti bianchi che fanno i conti e dirigono dall’alto.

Nell’Articoletto 2 scrissi testualmente:

Quando arrivate coi vostri mezzi al pronto soccorso, se non siete sufficientemente bravi a mimare una crisi di tipo isterico, la vostra anticamera silenziosamente sofferente potrà durare anche qualche ora.
Le parole
PRONTO SOCCORSO
o sono sbagliate o sono una beffa per chi ogni anno paga profumatamente alle Assicurazioni Sociali.

Queste parole sono sacrosantamente vere, perché conseguenza di vita vissuta. Qualcuno potrebbe dire che per me sarà stato un caso. Un caso più volte in un anno?

Normalmente un cittadino va al pronto soccorso (d’ora in avanti scriverò ospedale dato che il “soccorso” è “pronto” se arrivate in ambulanza o mimate in modo isterico la vostra sofferenza) coi propri mezzi se ha dei problemi che il suo buon senso non riesce a risolvere. Ipotizziamo che abbia mal di pancia ovvero delle coliche addominali da svariate ore. Ha cercato in tutti i modi di veder alleviati i “crampi” con medicamenti vari.

Questo cittadino quando si è reso conto che era tutto inutile, non solo, ma che i dolori diventavano insopportabili, ha deciso suo malgrado, di andare in ospedale.

la tristezza del racconto abbisogna di un po’ di colore.

Ma perché ha aspettato così tanto prima di decidersi? Non poteva muoversi un po’ prima? La risposta è molto semplice. Sapeva che l’attesa, prima di trovarsi al cospetto di chi avrebbe potuto aiutarlo, sarebbe stata lunga e snervante. Glielo insegnava l’esperienza.

Nella vita l’esperienza è molto importante!
Chi è rimasto scottato una volta ha paura anche del fumo.

L’esperienza, dunque, l’ha portato ad aspettare il più possibile perché sapeva che l’attesa, in ospedale, sarebbe stata terribile. Era domenica pomeriggio!

Non si era sbagliato. L’attesa nell’anticamera dell’”ospedale” (quello che dovremmo chiamare Pronto Soccorso) si è preannunciata subito lunga.

I crampi crescevano e lo obbligavano a contrarsi, a piegarsi in due. Il dolore era tale da fargli affiorare qualche lacrima. E quando si alzava dalla sedia sulla quale cercava di stare seduto il più calmo possibile e andava dall’infermiera, allo sportello, comunicando, con delicatezza, la propria sofferenza: “Guardi che sto male davvero”, gli rispondevano che doveva avere pazienza.

Guardava la porta automatica. Sperava si aprisse per lui. Sperava lo chiamassero. Sperava che, finalmente, qualcuno si muovesse per lui.
Non era venuto a chiedere la carità. Era assicurato. Qualcuno avrebbe pagato per lui.

I dolori continuavano. La disperazione cresceva. La porta non si apriva mai per lui. Qualche volta entravano o uscivano alcuni “addetti ai lavori” che se la raccontavano, sorridevano o avevano appena finito di raccontarsi una barzelletta… o si erano scambiate delle informazioni serie.

Il terrore maggiore era quello di veder arrivare un’ambulanza col “fortunato” che avrebbe avuto la precedenza su tutti.

Fortunato nella sfortuna!

Chi arriva in ospedale trasportato dall’ambulanza è considerato grave e ha quindi la precedenza su tutti.

Fra qualche giorno, prima dell’Articoletto 3 Quarchedundepegi vi racconterà come è andata a finire.

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