Questa volta a stimolare questo articolo non è una massima o aforisma di qualche personaggio del passato; no; proprio no. Questa volta, mi ha attirato questa vignetta altamente significativa.
Il medico della vignetta dice “non sono uno psicanalista”. Forse col linguaggio del barzellettiere avrebbe potuto dire “strizzacervelli”. Non conosco l’autore della vignetta e neppure so se il vignettista ha voluto essere così profondo. Indubbiamente ha ricalcato uno dei moltissimi momenti che accadono giornalmente: un individuo ha delle sofferenze fisiche e si reca dal medico. Che il medico lo visiti o meno, non trovando una “vera” malattia fisica, invia il proprio cliente a fare indagini di laboratorio in un primo tempo, indagini ospedaliere con macchinari sofististicati in un secondo tempo. È a questo punto che, non riuscendo la medicina a etichettare il paziente (ora lo chiamo così dato che nel frattempo lo è diventato), non rimane altro che etichettarlo come “matto o psicolabile” e inviarlo dallo psicologo o dallo psichiatra.
Esiste frequentemente anche un’altra realtà. Consideriamo l’esistenza di un disturbo che potrebbe sparire con quattro (o anche otto) chiacchere ben fatte dove il medico lascia parlare senza dimostrare fretta e irrequietezza. Consideriamo, diversamente, come normalmente accade. Se dopo la prima visita e i primi medicamenti sintomatici il “paziente” non guarisce, il laboratorio e le indagini ospedaliere frustranti, non sempre innocue ma frequentemente con tempi d’attesa “eterni”, permettono al disturbo di diventare una vera e propria malattia.
A questo punto bisognerebbe tirare le somme. È molto semplice. Se in medicina ci fosse un po’ più di amore, ci sarebbe maggiore colloquio, si riuscirebbe meglio a comprendere la necessità o meno di milioni di esami inutili e si sprecherebbe meno tempo e… ci sarebbero meno sofferenze “gratuite”.
IL SOFFERENTE HA BISOGNO DI MENO ESAMI DI LABORATORIO E UN PO’ PIÙ DI AMORE.
Hai ragione. Spesso al “malato” basta parlare con qualcuno, se è un medico anche meglio. Perché si fida di lui. Ma davvero la fiducia è sempre ben riposta?
Io ho una dottoressa che è anche mia amica. L’ho dovuta “prendere” nel momento in cui sono stata scaricata dalla “vecchia” dottoressa, molto brava, che ha ridotto il massimale. Questa era una mia amica ma non la conoscevo come medico. Devo dire che non è un granché e soprattutto è molto sbrigativa mentre l’altra teneva un paziente anche mezzora. Giusto prendersi il tempo che ci vuole, ma spesso si deve fare i conti con gli altri pazienti in attesa. Io non sopporto, ad esempio, sentire lamentele del tipo “pensa di esistere solo lui/lei” , riferite al malato. Credo sia indelicato esternare questo tipo di lamentela perché nessuno in sala d’attesa sa che problemi abbia chi è nello studio del medico. E poi si parte dal presupposto che siano solo chiacchiere, senza tener conto del fatto che forse, dico forse, qualcuno ha anche bisogno di essere visitato. Ma il “medico della mutua” attualmente è considerato quello che prescrive i farmaci, compila le impegnative per gli esami e scrive i certificati per le assenze dei lavoratori.
A proposito di gente che sbuffa, non sono un medico ma anch’io devo fare i conti con i genitori in fila che guardano continuamente l’orologio quando tengo qualche madre o padre un po’ di più. E poi mi sento pure in obbligo di scusarmi. Ma scusarmi di che? Se qualche studente ha dei problemi, è giusto che i genitori abbiano più tempo per parlare con i professori.
Penso che ai prossimi colloqui metterò un cartello: “Generalmente tengo i genitori 10 minuti. Se mi dilungo non è perché amo le chiacchiere ma perché ce n’è bisogno”. Potrebbero scrivere un avviso del genere anche i medici nelle sale d’attesa. 🙂
@Marisa
Ottimo commento. Brava. Particolarmente apprezzabile l’ultima parte.
(I medici potrebbero organizzarsi e ricevere su appuntamento!)!!!!!!!… potrebbe diventare una forma di rispetto e educazione.
Io una volta sono stata ricoverata per una febbricola che mi durava da un anno, mi hanno fatto mille esami anche poco piacevoli, mi hanno tenuta ricoverata 11 giorni ed alla fine non hanno scoperto cosa avevo. Hanno detto che forse avevo una piccola infezione da qualche parte ma non capivano dove e, visto che in un anno non mi ero aggravata ed ero sopravvisuta, dovevo aspettare che passava. In effetti molto tempo dopo è passata, anche io ci sarei arrivata alla conclusione “se non è morta in un anno non muore più”, i sintomi non erano particolarmente invalidanti, solo che mi sentivo sempre stanca, mi faceva male un po’ la testa e la pancia. Comunque per fortuna non era nulla di grave. I dottori hanno fatto bene a farmi tanti esami così da escludere delle malattie pericolose, però non sempre la medicina ha tutte le risposte! Con me devo dire che i dottori sono stati amorevoli anche perché all’epoca avevo 21 anni, ho notato che sono molto più sbrigativi con gli anziani perché partono dal presupposto che è normale che gli anziani stiano male. Questo fatto l’ho notato molte volte i dottori dedicano più energie a curare i giovani che gli anziani!
Cara Trutzy,
Se dopo tanti esami non hanno scoperto nulla, per tua fortuna non sei finita in mano agli psichiatri. Mi ha colpito la tua ultima frase. Dovrò fare attenzione.
Non sempre gli psichiatri sono nocivi, ci sono anche quelli bravi, immagino pochi visto l’ambiente di raccomandazioni dove vivono, però ce ne sono.
Cara Trutzy,
Hai ragione. Il danno, spesso e volentieri, lo fanno in buona fede. Hanno imparato così, e cioè che nella chimica degli psicofarmaci c’è il miracolo.
Buongiorno,
leggendo il tuo post ho ripensato a ciò che ho sempre sostenuto…
La gente ha bisogno di più ascolto!
Forse non vuole nemmeno tanti consigli… perchè in fondo, in fondo farà sempre di testa sua…
ma l’ascolto è basilare…
In tutti i campi purtroppo si verifica ciò che tu hai simpaticamente descritto… ma ahimè la parola ascolto è desueta!
Senza contare che la parola ascolto dovrebbe presupporre interesse, cosa ancor più difficile da avere!
La gente in genere è sempre stressata,corre, accidenti come corre… corre con sè stessa, corre con gli altri, i pensieri propri ed altrui sono soltanto un’accavallarsi di lettere confuse che disordinatamente si agitano negli emisferi celebrali… interesse zero…
Imedici, come gli insegnanti o non so gli assistenti sociali dovrebbero essere così sensibili da percepire eventuali disagi emotivi dei propri pazienti, eventualmente smorzarli al nascere per non farli ingigantire nel paziente che potrebbe rischiare inutili nevrosi…
Troppo facilmente si danno farmaci…per placare stati emozionali un pò evidenti…meno tempo, meno fatica, si rientra nei tempi e trascorre la giornata… lasciando però molto spesso la gente in uno stato confusionale ancor più di prima…
Ti saluto lasciandoti con un esempio che sintetizza il mio dire… mio figlio ieri proprio mi disse- Mamma tu parli lentamente… non sei come me e papà che parliamo in fretta!_ Gli ho sorriso poi gli ho risposto…_ Forse perchè io ascolto e parlando lentamente allungo i tempi per stare con te!_
Ti auguro una buona giornata
Fata scalza
Cara fata scalza,
Il tuo commento calza (anche se tu sei scalza!) a pennello. L’ascolto deve essere empatico. Ci vuole empatia… e questo è difficile proprio perché si deve correre. Se dopo aver parlato uno farà di testa propria, va benissimo; l’importante parlando aver “scaricato”.
Quanti anni ha tuo figlio?
Buon tutto.
Fata scalza vorrebbe una “figlia di anima”? (come si dice dalle mie parti?
Ricordo che da bambina mi venivano febbri altissime ed improvvise che sparivano immediatamente quando capivo che comunque “papà” non mi avrebbe fatto una carezza 😦
Un abbraccio sempre più “atletico” (sai in montagna mi sono allenata 😀 )
@accantoalcamino
La tua testimonianza è altamente significativa. Dimostra che, alle volte, basta una piccola manifestazione d’amore per star bene… anche una parola!
Spero che “l’atletico abbraccio” mi permetta di continuare a respirare. Te lo contraccambio.