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Archive for novembre 2011

SORRIDERE SERIAMENTE

Al mio recente articolo

https://quarchedundepegi.wordpress.com/2011/11/21/appendice-n-1-a-che-bella-la-vita/

l’amica Loretta ha lasciato questo commento:

riflettere sulle tua testimonianza mette in moto il disagio legato alla paura – dipendere dagli altri che possono condizionare la qualità della vita non piace a nessuno, e io confesso di aver scacciato il pensiero colta dal brivido della consapevolezza che anche per me si avvicina inesorabile l’orizzonte medico…posso per ora, adottare la politica dello struzzo? ciao

Mi ha fatto ricordare che recentemente vidi questa bella vignetta:

da "LA SETTIMANA ENIGMISTICA"

Ancora una volta una barzelletta che dovrebbe far ridere o sorridere ha un fondo di grande serietà.

Il cacciatore che non vede più lo struzzo.

Il vignettista è veramente fantastico. Pochi tratti di penna rendono efficacemente quello che accade tutti i giorni.

Nella vignetta è ritratta una situazione assurda. Lo struzzo è lì enorme e ben visibile.

Oggi, molto seriamente, facciamo finta di non vedere, facciamo finta di non sentire, facciamo finta di non aver capito, ecc. Facciamo finta. Facciamo come se quello della vignetta fosse normale.

In defnitiva nello stesso modo come facciamo finta di non vedere una persona per la strada, facciamo finta di non considerare l’esistenza di un problema e non lo affrontiamo.

È decisamente sbagliato specialmente se fa parte del nostro lavoro… e diventa disonestà.

LA REALTÀ VA GUARDATA IN FACCIA!

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VECCHIAIA

Ho trovato questa vignetta. L’avevo messa da parte; una delle tante prese da “LA SETTIMANA ENIGMISTICA”.
Forse chi l’ha fatta voleva farci ridere; o in tutti gli umorismi c’è molta verità?

Da "LA SETTIMANA ENIGMISTICA

Ho tenuto questa vignetta. Oggi l’ho riesumata e mi sono trovato a pensare in modo spicciolo e semplice.
Le mie sono considerazioni scritte da un “anziano” dal punto di vista anagrafico e dirette piuttosto a giovani… ma giovani di spirito.
La prima considerazione mi dice che in questa vignetta c’è una grandissima saggezza che non fa assolutamente ridere… e neppure sorridere.
Se penso al fatto che sono considerato vecchio e, quasi quasi, poco affidabile per cui i miei figli mi chiedono di fare attenzione tutte le volte che mi muovo autonomamente o guido la macchina, la soluzione numero uno dovrebbe essere solo quella di firmare un contratto con qualche “Casa di Riposo” nell’attesa di, eventualmente, “riposare in pace” e sparire dalla circolazione.
Indubbiamente per un ventenne il sessantenne è vecchio; immaginiamoci il settentacinquenne che viaggia verso i settantasei.
“Durante” il mio settantacinquesimo compleanno, ho dovuto considerare un mio passato piuttosto professionalmente travagliato ma senza particolari rimpianti. Già da bambino ero convinto di voler approdare alla medicina. Fu molto difficile approdare all’agognata Maturità Classica, ma fu meraviglioso e strepitosamente fantastico sbarcare come salariato in una Sala Operatoria vera in una prestigiosa Università svizzera e poter apprendere in modo pratico ciò che certi Baroni erano riusciti ad abbozzare nella mia mente.
Esattamente trentuno giorni dopo la fatidica laurea in Medicina e Chirurgia mi trovai a dover iniziare “l’apprendimento” di quella branca della medicina che definii arte: l’anestesia.
Mentre ricordo quel momento di quasi cinquant’anni fa, devo anche ricordare che, circa sei mesi prima, in previsione della laurea andai oltre frontiera a caccia di un posto dove poter imparare; che però mi permettesse di conservare la dignità: “LAVORARE, IMPARARE ED ESSERE GIUSTAMENTE RETRIBUITO. Se fossi rimasto nella mia città avrei imparato la metà, o meno della metà, e, non solo non avrei ricevuto alcuna retribuzione ma mi sarei sentito senza dignità.

La seconda considerazione è che oggi molti giovani hanno la dignità calpestata e oltraggiata da precariato e “partita IVA”. Questi giovani, quando si troveranno ad essere “quasi anziani” saranno ancora lo “zimbello della partita IVA e del precariato” e non si saranno accorti di aver vissuto.

Non sto dicendo che bisogna rifiutare il precariato e la “partita IVA”, sono però convinto che tutto questo oggi non avrebbe raggiunto limiti assurdi se la collettività ben organizzata avesse rifiutato di veder calpestata la propria dignità.
Quasi facilmente, chi ha visto calpestata la propria dignità, al momento buono arriva, quasi fosse una legittima rivalsa, a calpestare la dignità dei più giovani.
Raramente chi ha sofferto in questo modo eviterà di far soffrire nello stesso modo. Dico questo perché ho visto, in ambiente universitario, giovani talenti ma anche fantastici “lecchino“. Questi, cresciuti in autorità e diventati da “leccare” hanno dimenticato che avrebbero voluto, a suo tempo, essere rispettati e hanno adottato irrispettoso comportamento verso la gioventù.

L'UNIONE FA LA FORZA - da "Venus In Fur"

Da anziano chiedo ai giovani, uomini e donne di ricordarsi che hanno bisogno di non veder calpestata la loro dignità e, anziché subire, è utile unirsi e pretendere di poter

LAVORARE, IMPARARE ED ESSERE GIUSTAMENTE RETRIBUITI.

L’UNIONE FA LA FORZA

Nello stesso modo come considero insopportabili certe violenze a giovani fanciulle:

https://quarchedundepegi.wordpress.com/2010/09/27/articoletto-19-2/

non sopporto di sentire la violenza e la prevaricazione che deve subire il giovane desideroso di lavorare.

Uno Stato onesto non lo permetterebbe!.

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È passato quasi un anno da quando scrissi questo:
https://quarchedundepegi.wordpress.com/2010/12/01/che-bella-la-vita/

Che bella la vita!

Era, lo ricordo troppo bene, il 23 novembre dell’anno scorso. Il mio intestino, dopo tanti mesi, ma meno di un anno, ricominciò a fare i capricci. Pensavo di poter provvedere con un po’ di “chimica” ed evitare l’Ospedale.
Non solo non fu così ma, a causa delle mie condizioni, per cui facevo fatica a reggermi, e temevo il peggio, chiesi l’ausilio di un’autoambulanza.
Giunsi in Ospedale in ambulanza. “Che onore!” passare davanti a tutti; non dover fare la fila. Quasi quasi il sentirti un “privilegiato” ti farebbe pensare:”Cento di questi giorni!”
Poco fa ho riletto CHE BELLA LA VITA. Ho rivissuto in modo vivido quel momento meraviglioso della dimissione dall’ospedale. L’avevo dimenticato; avevo dimenticato quel fuggevole senso di colpa verso chi doveva rimanere. Era finita la sofferenza! Era finita quella sofferenza che arriva di colpo e non lascia spazio a dubbi e neppure a ripensamenti; quella sofferenza che non si può procrastinare.

Te la devi sorbire… e basta!

Ho vissuto molti anni in Ospedale. Ho visto pazienti “programmati” che, anche se a malincuore, decidevano o accettavano la degenza e l’intervento. E ho visto anche persone che arrivavano, loro malgrado, in ospedale da situazioni di apparente benessere. Di colpo era cambiata la vita; di colpo bisognava affidarsi a degli sconosciuti in camice bianco, bisognava raccontare la propria vita e, di lì a pochi minuti ritrovarsi alla mercé di droghe potentissime.

da "UNIVERSITANDO.COM"

Quella sera, saranno state le 22, ero uno di quelli. Non avevo il camice bianco e neppure quel fonendoscopio (non stetoscopio) che nei filmati viene sfoggiato “abbondantemente” per far comprendere allo spettatore il livello del personaggio inquadrato. Quella sera dovevo, per l’ennesima volta, raccontare per quale ragione il mio intestino aveva deciso di tradirmi. Per l’ennesima volta dovevo dire quanto era il dolore da 1 a 10. Per l’ennesima volta dovevo pregare un consistente “intervento” che mi permettesse di “respirare” dopo ore di dolore. Il dolore era cominciato molte ore prima; “loro” lo sapevano ma dovevano prima fare tante domande. È la prassi!.. e bisogna accettarla.
Perché ritorno oggi sull’argomento. Perché il rivivere quei momenti mi fa capire quanto il nostro vivere sia appeso a un filo. Quanti personaggi riescano a vivere in modo perverso senza mai chiedersi la possibilità dell’esistenza di un repentino cambiamento!
Oggi è in me ancora la stessa gioia e la consapevolezza che il poter respirare a pieni polmoni con la mia famiglia (e i miei nipotini) è un dono inestimabile che non ha prezzo. Queste semplici considerazioni mi fanno pensare che, se certi personaggi vivessero alcuni minuti nel Pronto Soccorso di un Ospedale, la vita avrebbe dei risvolti migliori. Non auguro loro né l’incidente e neppure la malattia acuta; basterebbe che “vedessero” le sofferenze e le gioie della libertà riacquistata.
L’onestà, il rispetto e l’educazione diventerebbero importanti e positivi per tutti noi. Dovremmo sicuramente subire meno sofferenze “gratuite”.
C’è ancora una considerazione da fare; e la faccio ora che, dopo 2 anni, constato sul mio blog 20.000 visite. Non sono assolutamente molte.
Ciò che mi stupisce è come quello menzionato all’inizio abbia ricevuto solo 43 visite e IL SALVADANAIO 1341 per non parlare dell’ARTICOLETTO 17 che ne ha ricevute ben 2321.

https://quarchedundepegi.wordpress.com/2010/09/02/articoletto-17/

Non scrivo per ricevere molti commenti. Scrissi per il gusto di mettere a fuoco la mia gioia di quel momento quasi unico, non per mettere in guardia la possibilità di improvviso cambiamento nella vita di ognuno di noi.

Se ricevo dei commenti, mi rendo conto sempre di più di ricevere commenti oculati e intelligenti; non frivoli e insignificanti come quelli che si leggono nella maggior parte dei blog.

GRAZIE!

In ogni situazione sarà sempre positivo trovare il modo di sorridere. Se qualcuno dovesse arrivare in ospedale, sarà bene se, prima di un intervento si informi sulle competenze dell’anestesista.

Da "LA SETTIMANA ENIGMISTICA"

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FUI LASSÙ

In un blog propagandistico-turistico frivoletto anzichéno ho trovato e “rubato” questa foto da webcam. Mi è piaciuta moltissimo. Particolarmente perché si vedono stupendamente le montagne dal Weisshorn al Liskamm (Gruppo del Monte Rosa), e poi perché, poco più che bambino fui proprio sul Castor (la terza montagna da destra).

webcam-mrs

Erano decisamente altri tempi. Guardando queste montagne non ho potuto fare altro che, al solito, ricordare quei momenti unici in cui, dopo qualche ora di marcia sul ghiacciaio, raggiunta la vetta ci si trova a godere uno spettacolo unico.

Per essere più precisi la marcia era iniziata il giorno prima da Gressoney St. Jean con tappa e pernottamento alla Capanna Quintino Sella. Non ricordo se da Gressoney St. Jean a Gressoney la Trinité andammo con la corriera. Sicuramente fu una bellissima camminata di almeno 7 ore.

La vecchia CAPANNA SELLA

Oggi esistono funivie che vanno oltre metà percorso. Cioè fino al Colle della Bettaforca. Già arrivare alla Capanna Sella fu molto bello. Ad una altezza di circa 3600 metri l’aria è veramente diversa. Fu lassù che mi resi veramente conto quanto la pressione sia importante per la bollitura e la cottura degli alimenti. Ricordo appunto che mangiammo una minestrina con delle patate bollite. Sembrava non fossero cotte; erano ancora durette, e questo a causa dell’altezza. Infatti l’acqua bolle ad una temperatura inferiore rispetto al livello del mare.

Questa capanna fu costruita la prima volta nel 1885. Di quei momenti non ricordo moltissimo. Naturalmente passammo la notte in quella capanna e alla mattina, sveglia molto presto, si partì verso la vetta del Castor. Tutto sul ghiacciaio, con la guida e… in cordata.

Come tutti noi sappiamo, nello stesso modo come il numero di sciatori è molto aumentato, anche il numero di chi va per montagne, anche se in proporzione minore, è considerevolmente cresciuto. Non si dimentichi che le funivie portano in alto dove si andava prima a piedi. La Capanna diventò Rifugio Quintino Sella, molto più grande e sicuramente molto più confortevole.

Rifugio Quintino Sella costruito nel 1982

Ricordo perfettamente che quella notte, a causa dell’altezza, dormii piuttosto poco; inoltre si dormiva vestiti e naturalmente i servizi erano molto spartani. Una buona parte dei ricordi, correva penso l’anno 1949, mi è stata stimolata da un paio di fotografie scattate sulla vetta della montagna. Ho trovato interessantissimo l’abbigliamento che rivela i cambiamenti. Ad eccezione della guida (in basso a sinistra), siamo tutti senza una vera e propria giacca a vento oggi credo indispensabile se si vuole salire a 4200 metri di altezza.

SULLA VETTA DEL CASTOR - 4220 metri sul livello del mare

Come si può ben notare dalla fotografia, siamo tutti legati. La corda passava da uno all’altro e, nei punti un po’ più difficili ci si doveva muovere uno alla volta, altrimenti un eventuale scivolone avrebbe potuto trascinare tutti gli altri. La guida, durante la salita era sempre il primo; in discesa era invece l’ultimo. Era infatti la guida che, grazie alla corda, avrebbe trattenuto chi sarebbe scivolato.

Ricordo quella giornata come unica. In questa fotografia ci sono anch’io. Sono il primo da sinistra in alto.

E questo è una parte, solo una parte, dello spettacolo che i miei occhi di ragazzino ebbero la possibilità e la fortuna di godere. Questa foto l’ho trovata su internet.

da "Quotazero.com"

Ho scritto questo articolo stimolato dalla foto della webcam e dal piacere di diventare sempre più giovane.

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Pochi giorni fa vidi alla televisione svizzera il Film “IL RAGAZZO CON IL PIGIAMA A RIGHE

Il film, tratto dal romanzo scritto nel 2006 dallo scrittore irlandese John Boyne,racconta la storia di Bruno, un bambino di otto anni che vive a Berlino con il padre Louis (un ufficiale nazista), la madre Elsa e la sorella Gretel: un giorno la famiglia si trasferisce vicino al campo di concentramento di Auschwitz per ordine di Hitler. 

IL LIBRO

E’ proprio qui che inizia la storia di amicizia e solidarietà tra Bruno e Shmuel, un bambino ebreo che si trova all’interno del campo di concentramento: Bruno, disobbediendo agli ordini del padre, va di nascosto a trovare l’amico tutti i giorni, portandogli del cibo in cambio del “pigiama a righe” che tanto piace a Bruno. Ottenuto il pigiama, Bruno lo indossa ed entra nel campo, dove aiuta Shmuel a cercare il padre.

Mentre Bruno è ancora nel campo suo padre, ignorando della presenza del figlio , ordina di avviare la marcia. Elsa e Gretel, non trovando Bruno, avvisando Louis e iniziano a cercarlo disperatamente: Elsa, giunta al campo, trova i vestiti di Bruno per terra a pochi passi dal filo spinato. Nel frattempo, il padre inizia a cercarlo e si accorge che la marcia da lui ordinata aveva portato alla camera a gas. 

Un fotogramma del film - I due amici

Questo il breve riassunto del film tratto da internet. Iniziai a guardare il film con tranquilla indifferenza. Poco alla volta mi accorsi che mi stava “prendendo” e lo guardai fino alla fine. Naturalmente lo spettatore spera, almeno per Bruno, il lieto fine.

La visione di questo film mi lasciò un grande turbamento per cui mi trovai a interrogare la mia materia grigia:”Perché?”

Non ho trovato alcuna risposta e ho considerato senza significato alcune critiche fra cui quella del Rabbino Benjamin Blech (docente di fama internazionale) che avrebbe scritto:“Questo libro non è propriamente né una bugia né una favola, è una profanazione”. Il suo più grande rammarico è che il libro supporti l’idea che la gente comune non fosse consapevole degli orrori dello sterminio di massa che i nazisti stavano attuando sugli ebrei. Egli spiega che chiunque nel raggio di chilometri poteva sentire il fetore di morte ed esprime il dubbio che un bambino di 8 anni figlio di un ufficiale nazista potesse non essere consapevole di cosa fosse un ebreo. 

Mi chiedo e continuo a chiedermi:”Perché l’uomo riesce ad essere così malvagio?”

Non credo che questo film abbia voluto profanare. Semplicemente ci ha fatto capire, fra l’altro, che i giovani hanno delle stupende capacità e possono superare, grazie all’amicizia, tutto quello che i Grandi riescono fantasiosamente a distruggere. I Grandi, cioè gli adulti, non riescono a vivere senza manipolare la realtà e non sanno gioire grazie a semplici e sani sentimenti.

Anche se il nazismo è stato, nella sua malvagità, superlativo, non possiamo pensare che OGGI, “a macchia di leopardo”, la situazione sia migliorata.

Quante ulteriori “sofferenze gratuite”.

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Oggi tutta l’Italia, forse tutta l’Europa, sa che a Genova c’è una strada che si chiama Via Fereggiano.
Gli italiani conoscevano poco di Genova. I Governanti hanno messo Genova alla “periferia” dell’Italia.
Si sa che è in Liguria e che, un po’ più in là, c’è una cittadina di nome Sanremo (o San Remo). A Sanremo si canta una o due volte all’anno.
In Italia conta l’asse Torino – Napoli e un pochino Milano – Venezia.
Oggi tutti sanno che Genova esiste veramente, che ci sono due Riviere e che, continuando verso ovest si arriva in Francia.
A Genova sono nato. A Genova ho sentito le bombe degli “Alleati” e ho visto le colonne dei Tedeschi che si ritiravano “silenziosamente” nell’aprile del 1945.
A Genova ho studiato il modo di “far star bene” il mio prossimo; in poche parole ho studiato Medicina.
Da Genova me ne sono andato alla ricerca di scienza fresca e positiva.
A Genova sono tornato molto speranzoso e con una famiglia da mantenere.

da "E' cominciato tutto un mercoledì sera... - 1970 - IL MERCATO DEI FIORI E LA STAZIONE BRIGNOLE

Nel 1970 ero a Genova quando il torrente (non è un fiume) Bisagno portò via tutto. Non ricordo bene i particolari, ma so per certo che, proprio quel giorno, a quelle ore avrei dovuto, per lavoro, passare nella zona della Stazione Brignole.
Ebbene, quando in questi terribili giorni guardo la televisione e vedo quelle scene di distruzione mi sovviene che proprio in quegli anni bazzicavo frequentemente quelle zone a monte e a valle di Marassi (dove ci sono lo Stadio e le Carceri). Ci andavo con dei foglietti nella borsa.

da "E' cominciato tutto un mercoledì sera... - 1970 - L'AMMUCCHIATA!.. dopo la piena.

Erano una lista di nominativi che, come “medico di controllo” dovevo andare a trovare ed eventualmente visitare per constatare l’esistenza o meno di una malattia. Dovevo visitare quella categoria di “lavoratori” che per necessità più o meno oneste non andavano a lavorare e venivano “sovvenzionate” dall’INAM per malattia.
Ero un “medico a 4 ore” dipendente di questo Istituto che ora, come tale, non esiste più.
Ero ritornato nella “mia” bella Italia per esercitare l’”arte” dell’anestesia nell’Ospedale (sede di Università) più grande e più importante della Liguria. E infatti stavo regolarmente in Sala Operatoria con le mie “droghe” micidiali; esercitavo con orari dettati dai Baroni miei superiori e, di ritorno a casa mi accorgevo che il salario, elargito dallo Stato, del medico impegnato nella struttura altisonante, non era sufficiente per il mantenimento di una famiglia.
Per questa ragione ero diventato un “medico a 4 ore”. L’INAM (Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro le Malattie) mi permise di arrotondare lo stipendio, ma anche di fare un lavoro stupido e piuttosto inutile.

Era una medicina che non conoscevo basata sulla reciproca disonestà. Il lavoratore malato ha tutti i diritti di essere malato e di farsi curare nel migliore dei modi. Una percentuale piuttosto alta di “assenti dal lavoro” che ero costretto a vedere considerava il lavoro un’evenienza da possibilmente scartare; o la “malattia” diventava la possibilità di lavorare “in nero”. Esisteva poi un’altra categoria di “non” lavoratori. Una parte di quelli del porto. Se c’era in porto la nave da scaricare, la salute era perfetta; se la nave partiva, nell’attesa della prossima nave da scaricare (o caricare) s’instaurava un atroce mal di schiena che rendeva addirittura difficile la deambulazione. Questi signori venivano pagati, e anche bene, solo quando lavoravano. In “malattia”, rispetto alle altre categorie di lavoratori, avevano un ottimo indennizzo “giustamente” da sfruttare. Imparai, fra l’altro, che, a dimostrare il mal di schiena fasullo avrebbe dovuto essere lo specialista ortopedico. L’ortopedico aveva però assoluto bisogno di lastre radiografiche. Per arrivare alle lastre e alla visita specialistica i tempi erano tali per cui nel frattempo arrivava la nave e… il mal di schiena passava.
Ho detto “reciproca disonestà” perché il medico, anche se sapeva di avere un interlocutore “sano come un pesce” sapeva di non poter fare nulla senza le lungaggini degli specialistici che avrebbero dovuto illuminare la situazione. Il mio frustrante lavoro era qualche giorno in ambulatorio e altri giorni a domicilio.
In ambulatorio era tutto organizzato da superiori burocrati all’”italiana”. A domicilio era tutt’altra musica.
Su ogni foglietto che ricevevo, oltre al nominativo del “malato” era l’orario nel quale quella persona era visitabile; l’orario nel quale avrebbe dovuto essere obbligatoriamente in casa. La zona dove dovevo recarmi era abbastanza distante da dove abitavo ed era proprio in parte quella che tutta l’Italia ha visto allagata e disastrata alla Televisione.
Su ogni foglietto era anche l’indirizzo del “cliente”.
L’inizio fu abbastanza difficile. Ogni visita significava un quarto d’ora di lavoro. Ma io non conoscevo la zona; non esistevano i telefonini e neppure i navigatori. Armato di mappa, buona volontà e tanta fretta andai a imparare le vie e i numeri civici; mi arrampicai nei piani alti delle case senza ascensore e sperai sempre di non dover pagare multe per divieto di sosta.
L’accoglienza fu quasi sempre gentile. Mi resi conto che esistevano molte persone veramente malate e desiderose di lavorare.
Col tempo imparai le strade, i numeri civici e i trucchi per posteggiare la macchina. Avevo una Fiat 500 e nel mio girovagare, qualche volta, ero assistito da mia moglie col figlioletto di quasi tre anni.

da "Circospetto" - IL BISCIONE

I miei orari erano piuttosto “brutti” per cui vedevo raramente moglie e figlioletto. Fu quindi molto piacevole muoversi in compagnia. Il lavoro frustrante e decisamente stupido veniva allietato, ad ogni sosta, dal sorriso di moglie e figlio.

Ero quasi di casa in questo lunghissimo complesso edilizio. Bisognava solo ricordare, o imparare i numeri civici.

Credevo che il mio lavoro fosse inutile o stupido finché, per esigenze logistiche, mi mandarono in un’altra zona di Genova, ancora più distante da casa e dall’Ospedale. I miei nuovi dirigenti mi mandarono ancora più lontano, ma, per fare un lavoro ancora più interessante e gratificante!.

MEDICINE

Dovevo andare a domicilio, ma non per “visitare” una persona assente dal lavoro, nossignori; dovevo controllare il numero di pastiglie o pillole esistenti in quella economia domestica dopo l’acquisto in Farmacia.

Mi spiego meglio. A quei tempi, con una semplice ricetta del medico, si poteva ottenere gratuitamente, ogni medicina. Anche la Vitamina C… e non c’era il ticket. Era quindi necessario sapere se le medicine venivano consumate o semplicemente, in grandi quantità, parcheggiate negli armadi di casa.

Ricordo che riuscii a resistere non più di un mese.

Abbandonai per sempre l’INAM. Tornai nelle corsie dell’Ospedale sperando tempi migliori.

La mia resistenza all’INAM durò un anno. Questa terribile alluvione che è riuscita a mettere freneticamente in moto i Media, mi ha fatto ricordare quell’anno in cui mi arrampicavo sulle alture di Genova facendo finta di fare il medico. Mi ha fatto anche pensare, come sia oggi non lo so, che già a quei tempi gli sprechi fossero all’ordine del giorno assieme alla mancanza di onestà. C’erano i Medici Funzionari che si giravano le dita molte ore al giorno con svariate mensilità e premi e i Medici Ospedalieri o Assistenti universitari che lavoravano per quattro soldi ma, nella speranza della carriera, avevano la lingua allenatissima.

Ripeto come sia oggi non lo so. Può darsi che sia peggio… e quindi maggiori le sofferenze gratuite.

Avrei voluto scrivere qualcosa ai liguri (e ai genovesi) per stimolarli a uscire dal limbo. Genova e la Liguria sono due perle meravigliose uniche e da valorizzare. Dovrò farlo.

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IL NONNO

Chi ha letto il mio Articoletto 1 sa perfettamente che il mio primo nipotino ha “stimolato” in buona parte l’esistenza del mio Blog.
Ebbene trovo ora su una vecchia settimana enigmistica questa vignetta. Non mi sembra da ridere.

Da "LA SETTIMANA ENIGMISTICA"

L’ ho trovata però molto, ma molto bella nonché quanto mai significativa.

Chissà se il vignettista è nonno o se si ricordava del proprio nonno. Trovo piacevoli i tratti del viso del nonno che osserva compiaciuto il nipotino sorridente.

Sicuramente il “mestiere” di nonno può essere particolarmente importante, specialmente ora che non vive più in famiglia come un tempo.

Mi rammarico moltissimo quando penso che avrei potuto scrivere quel poco che mio nonno raccontava, ma anche che avrei potuto chiedere di più. Anche se finì non troppo bene la propria vita professionale, nei suoi anni migliori, per turismo e per lavoro, fu in Russia e in Egitto.

Ho qualche ricordo dei suoi viaggi in Russia. Mi sembra andasse a San Pietroburgo al tempo degli Zar. Naturalmente in treno e anche in pieno inverno. Ricordo che, all’arrivo alla stazione, a portarli in albergo era un taxi slitta trainato da cavalli.

Ho detto “mestiere di nonno”. Spero di averlo cominciato bene anche se all’inizio ero molto titubante. Ricordo benissimo quanto ero quasi terrorizzato, quando, qualche ora dopo la nascita, mi fecero tenere in braccio il primo nipotino.

Penso potrà essere interessante ritornare su questo argomento. Per chi fosse interessato all’Articolato 1:

https://quarchedundepegi.wordpress.com/2009/10/26/articoletto-1/

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