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Ho letto questo articolo e una buona parte di commenti:
http://marisamoles.wordpress.com/2012/08/24/romeno-necessita-di-un-trapianto-di-cuore-padova-lo-respinge-udine-lo-salva/
Penso che, giornalisticamente parlando, l’argomento abbia potuto essere molto interessante e abbia potuto far consumare molta carta.
Ho lasciato un piccolo commento. Ho letto di chi piangeva, di chi è stato considerato razzista e di accenti poco positivi verso certi addetti dell'”arte sanitaria”.
Il medico non dovrebbe essere considerato un mestierante. Il vero medico è un artista. Ci vuole scienza, coscienza e amore se si vuole fare il medico; se si mettono insieme queste tre cose il medico diventa un artista.
Alle volte bisogna fare del male per evitare la sofferenza. Chi ci riesce è o non è un artista?
A parte questa piccola digressione, pochi sanno che esiste il cosiddetto
GIURAMENTO DI IPPOCRATE
che, fra l’altro suona così: Appunto il medico giura o giurerebbe “di curare ogni paziente con eguale scrupolo e impegno, prescindendo da etnia, religione, nazionalità, condizione sociale e ideologia politica e promuovendo l’eliminazione di ogni forma di discriminazione in campo sanitario;”.
Se un qualche medico ha rifiutato, nel modo descritto sui vari “giornali”, di prestare quel soccorso, ci sono due possibilità; o non era un vero medico o era schiavo del sistema che, purtroppo, dipende dalla politica e dai partiti.
Chi fa le leggi e i regolamenti? Gli affiliati ai partiti e alla politica che si occupano più di poltrone che dei bisogni reali dei cittadini. E allora?
E allora sta a voi tirare le somme.
Quello che però ha stimolato di più il mio comprendonio è il significato, o se preferite l’etica dei trapianti.
Per avere un organo nuovo, salvo rari casi che si possono trovare in letteratura (rene soprattutto) è necessario che qualcuno muoia. Quindi il proverbio dei nostri antenati calza a pennello.
MORS TUA VITA MEA

BRUEGEL IL VECCHIO – IL TRIONFO DELLA MORTE
Io ipotetico sofferente, io che vivo male, io che mi trascino a fatica da una stanza all’altra e ho bisogno continuo di ossigeno aspetto ansiosamente che un mio simile finisca magari in macchina contro un palo e defunga affinché io possa continuare forse a vivere.
E fin qui potrei dire: “Cavoli suoi. Se non sa guidare non è colpa mia.” E così via. Ci possono essere migliaia di possibilità che potrebbero permettermi di avere un altro cuore; non un cuore nuovo… perché quello è un cuore usato e magari anche male.
Sono però costretto, per associazioni di idee, a ripensare un attimo alla mia vita professionale… quando ancora come seconda casa avevo una sala operatoria.
Accadde che, per necessità appunto operatorie o pseudo tali, dovetti per un tempo abbastanza lungo tenere in vita la circolazione sanguigna e polmonare di un individuo cerebralmente morto, affinché il chirurgo lo potesse ammazzare del tutto estraendone gli organi allo scopo di far vivere qualcun altro.
Il tragico fu per me il fatto che questo individuo era un medico che avevo, anche se solo superficialmente, conosciuto.
E questa fu una delle ultime “anestesie” che feci. Questo operare mi toccò nel profondo non solo perché avevo conosciuto quell’uomo che stavo maltrattando e non lasciavo morire in pace, quando la nascita e la morte sono due momenti importantissimi della nostra vita, ma anche perché noi uomini carichi di scienza presuntuosa non dovremmo poter sentenziare la morte di qualcuno semplicemente perché decerebrato, neppure per far vivere qualcuno… forse.
Quel giorno lasciai nauseato la sala operatoria e mi trovai, ancora una volta, a considerare certe violenze della Medicina Accademica.
La Ragion di stato uccide; la ragion di vita, in questo caso, o uccide, o dà il colpo di grazia o non lascia morire.
E fin qui tutto bene. Abbandonai definitivamente le sale operatorie per dedicarmi a una medicina solo costruttiva… finché… finché qualche mese fa incontrai un amico (con la a minuscola) medico che subì recentemente un trapianto cardiaco e oggi esercita serenamente la professione.
Da un giorno all’altro, in piena notte, una telefonata lo invitò a partire subito: “Abbiamo un cuore per lei”.
Gli chiesi: “Qual’è il tuo stato d’animo? Come ci si sente col cuore di chi è morto?”
Nessuna particolare reazione! Lui è contento di essere vivo e di poter fare una vita quasi normale.
Non ho cambiato il mio punto di vista relativamente a come funziona la “vita” dei trapianti. Mi sono trovato a pensare che il non lasciar morire in pace è una “sofferenza gratuita”. Mi sono trovato però a lucubrare… senza sapere come e cosa pensare.
In poche parole: in crisi.
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