LA RIPRODUZIONE DI QUESTO ARTICOLO È VIETATA
Ho letto questo articolo e una buona parte di commenti:
Penso che, giornalisticamente parlando, l’argomento abbia potuto essere molto interessante e abbia potuto far consumare molta carta.
Ho lasciato un piccolo commento. Ho letto di chi piangeva, di chi è stato considerato razzista e di accenti poco positivi verso certi addetti dell'”arte sanitaria”.
Il medico non dovrebbe essere considerato un mestierante. Il vero medico è un artista. Ci vuole scienza, coscienza e amore se si vuole fare il medico; se si mettono insieme queste tre cose il medico diventa un artista.
Alle volte bisogna fare del male per evitare la sofferenza. Chi ci riesce è o non è un artista?
A parte questa piccola digressione, pochi sanno che esiste il cosiddetto
GIURAMENTO DI IPPOCRATE
che, fra l’altro suona così: Appunto il medico giura o giurerebbe “di curare ogni paziente con eguale scrupolo e impegno, prescindendo da etnia, religione, nazionalità, condizione sociale e ideologia politica e promuovendo l’eliminazione di ogni forma di discriminazione in campo sanitario;”.
Se un qualche medico ha rifiutato, nel modo descritto sui vari “giornali”, di prestare quel soccorso, ci sono due possibilità; o non era un vero medico o era schiavo del sistema che, purtroppo, dipende dalla politica e dai partiti.
Chi fa le leggi e i regolamenti? Gli affiliati ai partiti e alla politica che si occupano più di poltrone che dei bisogni reali dei cittadini. E allora?
E allora sta a voi tirare le somme.
Quello che però ha stimolato di più il mio comprendonio è il significato, o se preferite l’etica dei trapianti.
Per avere un organo nuovo, salvo rari casi che si possono trovare in letteratura (rene soprattutto) è necessario che qualcuno muoia. Quindi il proverbio dei nostri antenati calza a pennello.
MORS TUA VITA MEA
Io ipotetico sofferente, io che vivo male, io che mi trascino a fatica da una stanza all’altra e ho bisogno continuo di ossigeno aspetto ansiosamente che un mio simile finisca magari in macchina contro un palo e defunga affinché io possa continuare forse a vivere.
E fin qui potrei dire: “Cavoli suoi. Se non sa guidare non è colpa mia.” E così via. Ci possono essere migliaia di possibilità che potrebbero permettermi di avere un altro cuore; non un cuore nuovo… perché quello è un cuore usato e magari anche male.
Sono però costretto, per associazioni di idee, a ripensare un attimo alla mia vita professionale… quando ancora come seconda casa avevo una sala operatoria.
Accadde che, per necessità appunto operatorie o pseudo tali, dovetti per un tempo abbastanza lungo tenere in vita la circolazione sanguigna e polmonare di un individuo cerebralmente morto, affinché il chirurgo lo potesse ammazzare del tutto estraendone gli organi allo scopo di far vivere qualcun altro.
Il tragico fu per me il fatto che questo individuo era un medico che avevo, anche se solo superficialmente, conosciuto.
E questa fu una delle ultime “anestesie” che feci. Questo operare mi toccò nel profondo non solo perché avevo conosciuto quell’uomo che stavo maltrattando e non lasciavo morire in pace, quando la nascita e la morte sono due momenti importantissimi della nostra vita, ma anche perché noi uomini carichi di scienza presuntuosa non dovremmo poter sentenziare la morte di qualcuno semplicemente perché decerebrato, neppure per far vivere qualcuno… forse.
Quel giorno lasciai nauseato la sala operatoria e mi trovai, ancora una volta, a considerare certe violenze della Medicina Accademica.
La Ragion di stato uccide; la ragion di vita, in questo caso, o uccide, o dà il colpo di grazia o non lascia morire.
E fin qui tutto bene. Abbandonai definitivamente le sale operatorie per dedicarmi a una medicina solo costruttiva… finché… finché qualche mese fa incontrai un amico (con la a minuscola) medico che subì recentemente un trapianto cardiaco e oggi esercita serenamente la professione.
Da un giorno all’altro, in piena notte, una telefonata lo invitò a partire subito: “Abbiamo un cuore per lei”.
Gli chiesi: “Qual’è il tuo stato d’animo? Come ci si sente col cuore di chi è morto?”
Nessuna particolare reazione! Lui è contento di essere vivo e di poter fare una vita quasi normale.
Non ho cambiato il mio punto di vista relativamente a come funziona la “vita” dei trapianti. Mi sono trovato a pensare che il non lasciar morire in pace è una “sofferenza gratuita”. Mi sono trovato però a lucubrare… senza sapere come e cosa pensare.
In poche parole: in crisi.
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Può definirsi gratuita una sofferenza che evita un’altra sofferenza ?
Non lo penso e forse nella risposta a questa domanda si trova la soluzione del tuo dilemma.
Carofrz40,
La sofferenza gratuita è quella voluta o permessa.
Pare che… dico pare che morire sia un momento molto importante e, sempre pare che il moribondo abbia anche bisogno o, per lo meno, gradisca essere assistito con amore.
Quella che ho descritto è una sofferenza gratuita per il moribondo.
Non approvo la riproduzione di questo articolo e vi prego, in futuro di non più riprodurre i miei articoli.
Quarchedundepegi
Mi spiace ma la velocità non mi ha permesso di leggere la scritta, comunque ho provveduto a cancellare il post e come richiesto anche se avrei preferito di no, ho provveduto ad eliminare il reblog dei suoi post.
@icittadiniprimaditutto,
Grazie!
Caro Quarch,
io capisco i tuoi dubbi, i tuoi scrupoli, i tuoi interrogativi. Non sono un medico ma posso capire il tuo stato d’animo in quella sala operatoria.
Però se cerchi di ragionare da uomo, non da medico, allora forse puoi accettare più serenamente il fatto che una persona che muore non può salvarsi, può però salvare altre vite. Per donare gli organi è indispensabile tenere in vita il paziente per l’espianto. Ciò non significa “non lasciarlo morire in pace”. Lui non è cosciente di ciò che sta accadendo (quanto meno è molto improbabile che lo sia), quindi non fa differenza se gli viene concesso di “vivere” qualche ora in più, a quale scopo e in che modo. Altri uomini, però, aspettano che qualcuno salvi loro la vita e non lo trovo discutibile né mi scandalizza. In fondo, non ammazzano nessuno.
Diceva Epicuro nella Lettera a Meneceo: non ha senso avere paura della morte perché quando c’è lei noi non ci siamo più. Mi pare lapalissiano ma nel contempo è un concetto che fa riflettere sulla vita e sulla morte, sull’esistenza stessa, sullo scopo che abbiamo noi in questo mondo: quello di vivere al meglio senza poter evitare tuttavia che prima o poi sopraggiunga la fine di tutto (io sono credente e spero che non finisca tutto ma in linea di massima la morte è considerata la fine dell’esistenza, quindi la fine di tutto ciò che abbiamo sperimentato nel cammino terreno).
Tu da medico ti poni degli interrogativi legittimi, io da essere umano, invece, penso al coraggio di tante famiglie che acconsentono all’espianto degli organi di un proprio caro. Immagino la sofferenza ma immagino anche la speranza che in qualche modo la persona amata continui a vivere, anche sulla terra.
Se non l’hai già fatto, ti invito a leggere questo mio post.
Buona domenica.
Un abbraccio
Cara Marisa,
L’avevo letto e l’ho riletto… ed è pure commovente.
È vero, almeno sembra così, che la vita cominci con la morte.
“Quel giorno” in sala operatoria mi convinse che dovevo abbandonare la medicina Accademica a volte troppo violenta. Oggi sono ancora di più convinto che sia un enorme business. E lo è sicuramente anche il mondo dei trapianti che non ha pietà per nessuno.
Ciao.
Ciao, io appena compii 18 anni mi iscrissi all’AIDO, se proprio devo morire, e non lo voglio affatto perché adoro la vita, che almeno la mia morte sia utile a qualcuno e che porti non solo lacrime ma anche qualche sorriso!
Cara Trutzy,
Eri già una brava ragazza con tanto cuore!
Ciao.
Ciao, grazie!
Thanks for the message.
Greeting, Wolfgang
Bitte schön.
Quarc
Ciao Quarc, mi trovo un po’ spaesata in mezzo ai Vostri pensieri.
Io da semplice essere umano, posso solo affermare che Vita e Morte hanno la loro Dignità.Preferisco un medico coscienzioso che un luminare che considera la vita umana solo “routine”
Penso che oggi il medico (non tutti) sia diventato un ragioniere che fa le sue ore d’ ufficio e poi torna a casa.
Ti auguro una serena e bella sera
Gina
Cara Gina,
Capisco che questo sia un problema apparentemente non da giovani. È però molto importante che da giovani ci si “attrezzi” e si lavori pensando al futuro affinché la “dignità” possa veramente trionfare.
Si potrebbe quasi dire che iniziai col mio blog proprio per cercare di stimolare soprattutto in favore dell’onestà da parte di chi lavora con chi soffre.
Grazie per la tua presenza.
Senza dubbio il dolore fisico ha anche una naturale e salutare funzione: esso è un segnale d’allarme, che svela il nascere e lo svilupparsi, spesso insidioso, dell’occulto malore, e induce e spinge a procurare il rimedio. Ma il medico incontra inevitabilmente il dolore e la morte nel corso delle sue ricerche scientifiche, come un problema di cui il suo spirito non possiede la chiave, e nell’esercizio della sua professione, come una legge ineluttabile e misteriosa, di fronte alla quale spesso la sua arte rimane impotente e la sua compassione sterile. Egli può ben stabilire la sua diagnosi secondo tutti gli elementi del laboratorio e della clinica, formulare la sua prognosi secondo tutte le esigenze della scienza; ma nel fondo della sua coscienza, del suo cuore di uomo e di scienziato, sente che la spiegazione di quell’enimma si ostina a sfuggirgli. Egli ne soffre; l’angoscia lo attanaglia inesorabilmente, finché egli non domanda alla fede una risposta che, sebbene non completa, quale è nel mistero dei disegni di Dio e si farà palese nella eternità, vale tutta .’a a tranquillare il suo animo.
Caro silver price,
Benvenuto nel mio blog. Apprezzo la tua filosofia e il tuo “approccio” finale. Il medico, molto frequentemente “commerciante”, normalmente non soffre e non è attanagliato dall’angoscia finché lui stesso non si trova dall’altra parte.
Grazie.
Caro Quarc,sinceramente questo articolo mi mette in difficoltà,posso dire che la scienza deve andare avanti.Certo potrebbe sembrare disumano ma nessuno si porta dietro niente,neanche il proprio corpo.
Ciao
Cara Gibran,
Hai più che ragione. Se tu ti trovi messa in difficoltà puoi capire quale fu il mio stato d’animo. La scienza deve andare avanti e, guai se non fosse andata avanti!
Io pensavo di potermi portare dietro il computer… come farò?
Ciao e… che dirti: Grazie.
Ciao quarchedundepegi, sono tornata sul tuo blog. Questo articoletto mi ha colpito, effettivamente non mi ero mai messa nei panni del medico che deve tenere in vita un paziente per poterne estrarre gli organi. Da una parte mi fa piacere che tu da medico abbia sentito quelle sensazioni, dall’altra pero’ come dici tu, potrei passare del tempo a lugubrare cosa sia più giusto. Credo che il fatto che ci siano tante persone disposte a donare sia già un segnale considerevole, di grande umanità. Credo anche che ogni persona che sia disposto a farlo sia consapevole della ulteriore sofferenza a cui si sottopone, un atto ulteriore per permettere ad altri di vivere. Ciao!
Cara Elena,
Sono lontano da casa col collegamento internet in crisi.
Mi fa enorme piacere ritrovarti nel mio blog.
Ti ringrazio molto del tuo commento più che giusto.
La vita o la morte sono due momenti importanti. Non solo è difficile vivere ma è anche difficile morire. La scienza crede di sapere molto. È poi vero?
I trapianti sono indubbiamente contro natura. Sono utili? Sembra di sì. Chi vivrà vedrà. Ciò non toglie che mi trovai in crisi. Sicuramente mi passerà.
Grazie per la tua presenza.
Caro Quarc.
Non so se al inizio del tuo post facevi riferimento anche a me (sui discorsi poco positivi del sistema sanitario) del blog di Marisa. Ma poi non ha cosi tanto importanza. Anche perché tu, qua, ci metti (tutti noi) davanti ad una dilemma (molto) dolorosa.
Se io ho capito bene, qui si tratta di “tenere o non tenere una vita in sofferenza per poi salvare un altra”, no?
Io uno, pensando a questa situazione mi viene fortemente in mente il detto di “trovarsi tra l’incudine e martello”. Non c’è un altro detto che possa sincronizzarsi meglio.
Certo. E’ inumano a far soffrire un moribondo. Sopratutto come medico. Pensando al povero moribondo che soffre nella sua coma silenziosa non fa che desiderare di premere il bottone eutanasico. E lasciare la sua anima in libertà.
Ma poi?
Poi devi incontrare i occhi speranzosi dell’altra persona. Quella che aspetta il organo sano. E qui il dramma è ancora più lacerante. Perché ti rendi conto di aver “sprecato” un’opportunità. La sua….. opportunità di vita, forse. E cosi, anche se non vuoi, diventa tutto un (maledetto) calcolo matematico. Perché la…. giù, nel cortile del ospedale…. ci sono non una, ma bensì due barre che aspettano i loro abitanti.
La prima ha le misure di una persona che è stata liberata dalla macchina che lo teneva in vita artificialmente.
La seconda invece ha le misure di un’altra al quale (tu, con la tua scelta) gli hai rifiutato l’organo (e quindi implicitamente…. la vita).
P.S. La scienza, caro Quarc, ci ha permesso cose incredibili. Ci ha dato possibilità impensabili prima. Ci siamo diventati quasi dei dei. Ma se abbiamo voluto essere Dio….. dobbiamo prenderci anche le sue responsabilità, le sue dramme nel scegliere, le sue dilemmi.
Caro Valentino,
La tua filosofia sembra quella giusta.
È anche vero che la scienza ha fatto dei passi da gigante; è anche vero che ha saputo andare, qualche volta, contro natura.
Io ho esposto un caso nel quale mi sono trovato ad agire in un determinato modo; quel caso mi ha messo in crisi e mi ha consigliato di continuare a fare il medico in un modo diverso.
Con più amore? Ai posteri l’ardua sentenza!
Ho letto con interesse questo tuo articolo, anche perché da molto tempo mi pongo la domanda riguardo a me stessa. Molti anni fa mi iscrissi ai donatori di organi, sono anche stata, in passato, donatrice di sangue. Una cosa però ho sempre pensato (e chi mi sta vicino non riesce a condividere): io non voglio subire alcun trapianto, specialmente ora che sono vecchia. Ho conosciuto una delle prime trapiantate di cuore, morta qualche anno fa. Non mi pare che la sua vita, dopo il trapianto, sia stata serena e migliore di quella che aveva avuto prima del trapianto. Forse, oggi, il dopo trapianto è migliorato rispetto a trenta, quaranta anni fa. Rimane sempre, però, il pensiero di ciò che è successo e di ciò che di estraneo si è ricevuto.
Cara Neda,
Mi fa piacerissimo chi va a leggere dei miei vecchi articoli. Non ricordo cosa scrissi. Sono però sempre più consapevole che il trapianto d’organo sia contro natura e, dovrei aggiungere, contro la volontà inconscia del trapiantato.
Se un giorno arriverai a leggere il mio libro, potrai credere al fatto che tutto quello che ci accade oggi è il “frutto” del passato… anche lontanissimo.
IL DESTINO COME SCELTA scrisse lo psicologo di Monaco.
Ciao… e grazie per avermi letto.
Quarc