Avevo quasi dimenticato i miei articoletti… quasi tutti ispirati, o “innestati” dai miei nipotini.
Questa volta a stimolarmi a scrivere è uno dei tanti libri che ho letto e sto leggendo su quella terra, che credo meravigliosa perché purtroppo non la conosco sufficientemente, che si chiama Istria con Trieste e Fiume.
Da quella terra, dal 1943, ben 350.000 italiani istriani, fiumani e dalmati, partirono per raggiungere definitivamente la Madrepatria o altri “lidi” più o meno ospitali nel mondo. La loro partenza fu una fuga dal luogo dove erano nati e nel quale erano stati nutriti e vezzeggiati. Partirono dal luogo che amavano di più, nel quale sapevano che non avrebbero più fatto ritorno.
Il simbolo di quell’esodo fu una nave, un piroscafo, che fece la spola fra l’Italia vera e Pola non più Italia per trasportare quasi tutta la popolazione di quella città e di villaggi vicini. Aveva il nome di una regione italiana carica di arte, natura, storia e italianità linguistica: TOSCANA. Lo volle ricordare un francobollo del 1997.
Leggendo di questa tragedia che solo da pochi anni viene raccontata, vedendo i miei giovani nipotini che vivono felici in un paesello svizzero, mi sono rattristato al pensiero che un bimbo di 8 – 10 anni possa venir di colpo trascinato via dal suo ambiente di tutti i giorni… nel quale non tornerà più. È quanto accadde a molti bimbi, ma anche a molti adulti, e… non è come quando si emigra. No, è sicuramente qualcosa di veramente terribile.
Io emigrai nella confinante Svizzera… dove parlavano tedesco. Ero appena laureato e gioivo di poter esercitare la professione per cui avevo studiato. Andavo lontano da casa, andavo a parlare una lingua diversa ma anche un pochino familiare dato che i parenti di mia Mamma venivano da lì, e, malgrado tutto, ero un pochino triste. Comunicavo coi miei parenti in Italia e con gli amici a mezzo lettera, ma, sentivo alleviata la tristezza perché sapevo che, tempo settimane o mesi, avrei potuto tornare a casa, seppur per pochi giorni, e trovare più o meno tutto come prima. Avrei ritrovato gli amici e i parenti, e avrei potuto raccontare la mia nuova vita; anche quanto era interessante e lodevole essere rispettati dai colleghi e dai datori di lavoro. Avrei potuto anche creare piccole invidie nei colleghi lasciati in Italia che dovevano combattere coi “Baroni” dispensatori di lavoro e piccole elemosine in cambio di ipocriti leccamenti.
Ero un emigrato, non un profugo che ha dovuto, più o meno obbligato, fuggire. Ma questo non accadde solo in quella parte di ex Italia su cui ritornerò. Accadde anche in Polonia, a pochi passi da Danzica, dove mi fu possibile fotografare questo monumento.
Ecco il monumento visto dal davanti :
Un padre che tira un carretto nel quale ha potuto mettere il massimo, la madre con una valigia d’altri tempi, con un cappotto sempre d’altri tempi, che sollecita con la mano la bimba.
L’altra foto un po’ più di fronte ci mostra meglio il carretto e la bimba con le treccine che fa resistenza. Qualcosa la blocca.
Che cosa la blocca diventa chiaro gurdando l’ultima fotografia : il cane. No lui non può venire ; lui deve restare lì. Lo si può vedere meglio nella foto seguente che non è altro che l’ingrandimento della precedente che ci mostra in particolare il cane che dovrà essere abbandonato. Quel cane non rappresenta per la bimba solo il fatto che dovrà lasciare l’amico migliore, probabilmente anche di giochi, ma tutto l’ambiente circostante nel quale è cresciuta e ha vissuto.
A Gdynia, dopo l’invasione dell’esercito del Reich tedesco, circa 80.000 abitanti furono costretti a lasciare le loro case. A queste persone furono concessi circa 15 minuti per “raccattare” le loro cose e partire. Guai se il peso di quanto portavano via superava i 20 – 30 chili.
Ho imparato che, quando si deve lasciare un luogo, più o meno definitivamente, si lasciano sì i muri, gli ambienti, le strade e gli amici, ma anche e particolarmente i rumori e gli odori.
I profughi che hanno lasciato definitivamente l’Istria, e sono tornati sui loro passi molti anni dopo, quando la Slovenia e la Croazia sono diventate parte integrante dell’Unione Europea, non hanno trovato più gli stessi rumori e gli stessi odori. Sembrava loro di essere all’estero e non dove erano nati e cresciuti.
Mi rattrista pensare che quegli « italiani doc » che dovettero abbandonare assolutamente tutto, trovarono in Italia minima accoglienza se non aperta ostilità, e che le nostre Autorità che permisero, sì perché lo permisero, certi misfatti, nulla o poco fecero in favore della nostra Patria nel momento in cui alcuni Stati interessati vollero entrare a far parte della famiglia dell’Europa Unita.
È difficile che ai miei nipotini possa accadere di dover abbandonare tutto da un giorno all’altro, sarebbe stato però possibile, in altri tempi, manovrare la politica considerando anche che entro i confini di uno stato c’è una popolazione.
Fin qui è normale che il “Politico” si muova con poca umanità, è deleterio però che riesca a nascondere certi misfatti per molti decenni.
Com’è oggi? Il Politico è migliorato?