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Archive for the ‘cancro’ Category

8 OTTOBRE 2004

 

Questo è per me un giorno d’importanza capitale.

Quel giorno era il 732230° dall’anno 0 ed era un venerdì. Tutto questo è sicuramente irrilevante per la maggior parte, o tutti i miei rari, ma affezionati lettori.

 

Ebbene, quel giorno fu per me importantissimo, per due cose… che, in un certo senso mi cambiarono la vita.

 

Pochi giorni prima mi diagnosticarono un cancro… e, con immensa « gioia » mi resi conto che avrei potuto « finalmente » sperimentare il tavolo operatorio… proprio quel tavolo operatorio sul quale per 20 lunghi anni anestetizzai, in vari ospedali d’Italia e Svizzera, tanti Umani di ogni età… di giorno e di notte.

La mia « gioia » fu tale per cui, ogni volta che ci pensavo, mi veniva il nodo alla gola. Si piange anche per la gioia ?… certamente.

Non ho mai pianto e non mi sono mai lasciato andare a disperazioni varie… semplicemente non seppi reagire a dovere di fronte al comportamento « grossolano » di quel mio collega che mi diagnosticò il disturbo visivamente… o in modo ineluttabile.

Per un anestesista incallito è abbastanza terribile doversi rendere conto che potrà dover cedere all’arma taglientissima del bisturi e alle droghe potenti e violente, ma indispensabili del collega anestesista.

Un bisturi

Oggi, proprio oggi, nel 2004, in un momento pomeridiano di quel giorno, mi hanno fatto raggiungere quella sala operatoria che ben conoscevo come operatore sanitario, mi hanno salutato con affetto, mi hanno spedito in quel mondo farmacologico particolare e… mi hanno permesso, dolorante, di ritornare al punto di partenza.

Non ero più quello di prima, con « un pezzo » in meno e un poco di speranza in più.

 

In poche parole, dopo molti anni col coltello dalla parte del manico, volente o nolente, cominciai a conoscere i miei colleghi stando dall’altra parte… e non fu poco.

 

Se però vogliamo essere un pochino precisi, un intervento chirurgico non è la fine del mondo, nello stesso modo come è abbastanza quasi normaleun cancro. Quanta gente l’ha avuto ! Quanta gente è morta a causa di un cancro !… e, quanta gente s’è ritrovata con la pelle d’oca dopo la sentenza diagnostica di un medico ?

Tanta gente ! A meno gente la recidiva… ma questa è un’altra storia.

 

La componente interessante che coinvolse in un modo non indifferente anche la psiche fu il fatto che quell’otto ottobre duemilaquattro, attorno alle 10 del mattino, in un angolo dell’ospedale da me ben conosciuto, poche ore prima del fatidico taglio, fumai la mia ultima sigaretta.

 

Ebbene sì. Proprio oggi, 15 anni fa, fumai la mia ultima sigaretta.

DUE SIGARETTE

Qualcuno potrebbe pensare che le sigarette fossero state la causa del mio cancro. Non è così. Fumare non mi danneggiava particolarmente… danneggiava la mia psiche perché per un vero fumatore il problema più grande è quello di poter rischiare di rimanere senza sigarette… potersi trovare ad infilare la mano in « quella » tasca e non trovare la sigaretta. L’intervento mi offrì l’occasione di mettere la parola fine a questa noiosa necessità.

Oggi mi considero un fumatore che non fuma.

Fumai le prime sigarette all’età di 14 anni… anche rubate al Nonno… che aveva la provvista di sigarette di contrabbando.

Le teneva sotto chiave nella scrivania. Noi, mio fratello ed io, avevamo trovato il modo di « scivolare » in quell’angolo della scrivania… senza colpo ferire e senza lasciare tracce. Quando mancava il tabacco fumavamo camomilla o corteccia di vigna con delle pipette da noi confezionate con le canne ; alle volte potevamo usare il tabacco che rimaneva nei mozziconi che si potevano trovare per terra… più facilmente all’altezza delle fermate del tram o sul tram stesso… la gente fumava anche se c’era scritto VIETATO FUMARE… le sigarette di allora erano senza filtro, quindi rimaneva sempre un po’ di tabacco… naturalmente ben carico di nicotina e catrame e… ben calpestato.

Quando qualche adulto ci vedeva fumare ci diceva che non saremmo cresciuti.

Smisi di fumare una sola volta… per 6 mesi.

Questa volta, dopo fumata l’ultima sigaretta, decisi che avrei smesso definitivamente… e così fu. Devo però dire che la mia decisione fu molto sofferta… per mesi e mesi, dopo le dimissioni dall’ospedale, la sofferenza del non fumare fu grande… veramente grande. Così avevo deciso !

Solo un vero fumatore può comprendere il logorio interno dei primi « molti » mesi.

1950 – QUANDO IL TABACCO FACEVA ANCORA BENE A TUTTI !!!

Il tabacco non fa male. Quando Cristoforo Colombo lo vide fumare per la prima volta, chi fumava lo faceva a scopo terapeutico… poi entrò in azione la « Civiltà » che pensò bene di guadagnarci… e anche tanto.

Il business del fumo fu tale e di tali proporzioni, per cui riuscirono a crearne un altro, quello del NON FUMO.

Furono necessari svariati secoli prima che « Qualcuno » sentenziasse che il fumo fa venire il cancro.

Un business dopo l’altro… e noi tutti, o quasi tutti, crediamo a quello che ci propinano. E a propinarcelo furono e sono le industrie delle sigarette che, non si sa cosa riescono a mettere nel tabacco per produrre assuefazione… e danno… e morte.

 

Comunque sia, oggi sono molto contento ; ricordo con grande piacere che da quindici anni non rifornisco più le industrie del tabacco. Con questa mia gioia punto il dito contro l’industria dei dolcificanti e del « senza zucchero »…

 

AI POSTERI L’ARDUA SENTENZA

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Quando sei su una “sicurissima” nave da crociera, ti trovi in mezzo all’Oceano Atlantico e le onde raggiungono anche l’altezza di dieci metri, si pensa solo al fatto che si potrebbe soffrire a causa dell’ondeggiamento dello scafo, per cui va benissimo se non si ha nausea e non si vomita. Non solo la nave ondeggia con rollio, beccheggio e qualche spiacevole “imbarcata”, ma chi si trova tranquillo in cabina, magari sul letto, sente in continuazione scricchiolii dei mobili e delle pareti, colpi forti come se venissero dal di sotto e qualcuno bussasse, sensazioni violente di sbandamento sicuramente a causa di forti onde contro lo scafo; per non parlare di sensazioni di sollevamento con repentino sprofondamento e movimenti ripetuti sussultori accompagnati da spinte laterali senza preavviso. Se poi ci si decide di mettersi in movimento per raggiungere i piani alti della nave, la camminata è molto simile a quella dell’ubriaco, per cui è impossibile camminare diritti e, dopo aver sollevato il piede e la gamba per fare un passo, il piede sembra debba rimaner sollevato, e quando toccherà terra, lo farà in un punto diverso dal previsto. Se poi si decide di mangiare qualcosa, bisogna fare molta attenzione ai repentini sbandamenti della nave ed essere ben pronti ad afferrare le suppellettili che sono sul tavolo dato che potrebbero scivolare via.

Se poi lo sbandamento sarà particolarmente forte, si potrà vedere volare per terra anche qualche umano che, seduto al tavolo, non ha avuto l’accortezza di tenersi saldamente al tavolo stesso… che per fortuna è fissato al pavimento.

Fa una certa impressione, per fortuna raramente, sentire la nave “scrollata” con tale violenza per cui ci si trova a sperare che la costruzione sia stata fatta alla perfezione; sembra infatti che la nave stia andando in pezzi.

Dopo la partenza dalla Groenlandia, fu proprio così per 4 giorni… e 4 notti. Proprio a causa del mare decisamente mosso che fu saltato uno scalo in Canadà e fu in forse il secondo scalo ad Halifax.

Non avrei mai immaginato di mettere i miei piedi sul suolo groenlandese, e tanto meno avrei immaginato di farlo trasportato da una nave da crociera.

Qaqortoq

Qaqortoq

La bellezza affascinante del villaggio “multicolore”, su una terra brulla spruzzata di neve con strade parzialmente ghiacciate in una giornata col cielo terso e azzurro intenso è… semplicemente indimenticabile. Per fortuna esiste la possibilità di “rivedere”, per ricordare, con le fotografie. E, con le fotografie si può anche immortalare la buca delle lettere nella quale, fra l’altro, s’è imbucata la cartolina per parenti e amici.

La buca dall'Ufficio Postale

La buca dall’Ufficio Postale

Proprio così! Arrivammo di buon mattino nella rada di Qaqortoq, un villaggio inuit nel sud della Groenlandia. Era ancora ottobre, ma la temperatura attorno ai 5 gradi sotto lo zero, ci consigliò giustamente di ben coprirci, tanto più che il tragitto dalla nave alla terraferma fu su un Tender (motoscafo molto capiente per 50 e più persone, coperto e con due motori ma con aperture laterali che lasciano passare l’aria… gelida). Anche se il tragitto durò solo circa 10 minuti, arrivando infreddoliti si viene attirati da un edificio che vende un po’ di tutto per quanto riguarda i “souvenirs”, artigianato locale, ecc. … e cartoline. Non siamo solo noi! C’è la ressa delle grandi occasioni. Gli abitanti del villaggio che di colpo vengono assaliti da qualche migliaio di curiosi. Sì, in fondo siamo dei curiosi, ma loro sono, o, per lo meno sembrano contenti.

La bandiera della Groenlandia dal 21 giugno 1985.

La bandiera della Groenlandia dal 21 giugno 1985.

Compriamo un paio di cartoline e delle calze del luogo con la bandiera della Groenlandia… regalate quasi tutte ai nipotini. Per i francobolli ci dicono dove si trova l’ufficio postale; proprio quello che volevo!

Ci sono pure delle bancarelle all’aperto gestite da Inuit: compriamo un cristallo e lo paghiamo. Il simpatico Inuit che mi ha venduto il cristallo, dopo avermelo consegnato ha voluto darmi la mano… col sorriso! Che bello! L’ho fotografato.

L'Ufficio Postale

L’Ufficio Postale

Andiamo alla ricerca dell’Ufficio Postale e siamo stupiti del fatto che sulle strade ci sono relativamente molte macchine. Ci sono molte persone che attendono l’apertura dell’Ufficio. Decidiamo di passare un po’ dopo. Fa bel freddo, e vediamo con piacere la macchina della posta… che fotografo con gioia.

Il furgone della posta

Il furgone della posta

Nel piccolo percorso verso la posta, abbiamo la fortuna d’incontrare una piccola “carovana” di bambini dell’asilo: Dei bellissimi bambini del luogo, che, ben ordinati, accompagnati da attente maestre, vanno giudiziosamente a coppie verso il mare.

La cartolina che sono spedito. Bimbi Inuit e bandiere della Groenlandia.

La cartolina che mi sono spedito. Bimbi Inuit e bandiere della Groenlandia.

L’Ufficio Postale apre alle 10 e ci sono già molte persone in coda che aspettano. Siamo già abbastanza intirizziti; andiamo alla ricerca di un ambiente caldo dove poter avere un caffè o, per lo meno, una bevanda calda. Non lo troviamo.

Il numerino

Il numerino

Nel frattempo apre lo sportello della posta… modernissimo e coi numerini. Ho tenuto il mio numerino. Proprio come i nostri in Svizzera. C’è solo una grande differenza, e cioè che sono scritti in una lingua difficile da capire… per noi naturalmente!

Va benissimo! Prendiamo il nostro numerino e, per la prima volta sono contento di dover aspettare alcuni minuti nell’attesa del nostro turno. Stare al caldo e sentire le mani che riprendono una temperatura normale… è una goduria! Sì perché non sopporto il freddo, specialmente alle mani, e questo da quando feci, anni fa, la chemioterapia. Ormai è tutto apparentemente passato. Secondo le statistiche mediche, ammesso che le statistiche siano valide, sono ormai fuori. Dovrei essere come guarito… nel senso che il cancro non dovrebbe più venirmi nello stesso posto. È chiaro che potrà venire da qualche altra parte. Bisogna sempre essere pronti… o far finta di niente.

Il francobollo della Groenlandia... obliterato!

Il francobollo della Groenlandia… obliterato!

Di ritorno a casa, trovo con gioia la cartolina col francobollo timbrato: timbrare (che significa in questo caso obliterare) i francobolli fa parte dell’efficienza del servizio postale.

Per il mio cervello tarlato di collezionista di foto di buche postali delle lettere, è veramente unico aver potuto fotografare una buca della Groenlandia, ed esser riuscito a  spedirmi una cartolina. Non credo infatti che mi capiterà di ritornarci e difficilmente qualcuno mi spedirà una foto da quell’enorme isola americana. Eh sì. Anche se la Groenlandia è nell’orbita della Danimarca, fa parte dell’America.

L'Ufficio postale di Qaqortoq

L’Ufficio postale di Qaqortoq

Posso fotografare l’ufficio postale… (è quasi un “addio”) dall’altra parte… prima di continuare la passeggiata nel villaggio… malgrado il freddo.

L'altra buca della Groenlandia.

L’altra buca della Groenlandia.

Non possiamo passeggiare troppo a lungo, anche perché dovremo presto metterci in coda per ritornare sulla nave che ci porterà in Canada.

Ma che bello! Trovo un’altra buca… e la fotografo.

Sembra piccola, ma la grandezza è uguale all’altra. Il problema fu che la temperatura era stabilmente sotto lo zero, per cui, prima di fotografare bisogna togliersi i guanti, fare in modo che con  le mani ugualmente fredde la macchina fotografica non scivoli per terra e scattare la foto… mentre chi era con me già lontana era. Bisognava quindi far presto.

Vorrei fare una piccola considerazione: “Non potrei vivere in una terra così fredda. Devo però dire che la cortesia e la gentilezza delle persone incontrate fu meravigliosa.”

 

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Sto riesumando alcuni dei miei vecchi scritti per tentare di svegliare la mentalità della maggior parte dei miei connazionali che, tutte le volte che si rivolgono alla Sanità, credono di avere tutto gratis e quindi di doversi quasi scusare se ricevono qualcosa di buono.

Ho riesumato questo vecchio:

https://quarchedundepegi.wordpress.com/2009/11/14/considerazioni-1/

che nessuno o pochissimi arrivarono a leggere.

Non dice infatti molto, ma, oggi come oggi, ci obbligherebbe a impazzire se, solo per caso dovesse arrivare alla Sanità qualche grossa emergenza.

Se, senza emergenze particolari, bisogna stare in barella nei corridoi o attendere mesi e mesi per farsi guardare nel colon dove potrebbe esserci un cancro ancora operabile (colonscopia), bisogna proprio che a monte qualcosa non funzioni o il menefreghismo si trovi ad essere imperante.

Ieri sera, se aveste visto Luca Abete in Striscia la Notizia, avreste potuto vedere il mio collega Direttore Sanitario dimostrare che non si può fare niente e che a Napoli è tutto così.

Ma se lui stesse male lo metterebbero su una barella nel corridoio?

Anche il più pezzente diseredato, se sofferente, ha diritto di essere “dignitosamente” curato!… o no?

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Eccolo che è arrivato.
Vi presento la copertina:

Copertina TUTTO VERO - istantanee di vitae l’Ultimo di copertina… se si chiama così:

Ultimo di Copertina TUTTO VERO - istantanee di vita

C’è l’ISBN e il http://www.fontanaedizioni.ch che ha curato la stampa.

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Anche se abito in Svizzera guardo quasi sempre la televisione italiana. Anche se recentemente di belle trasmissioni ce ne sono poche, accade piuttosto spesso di trovarsi a seguire i dibattiti che “chiedono” ai Governanti di fare qualcosa di concreto per la Patria.

I dibattiti spaziano molto più spesso su problemi di evasione fiscale, di difficoltà per certe famiglie di arrivare alla fine del mese e di sprechi ignominiosi… a spasso nella Penisola.

Qualche volta dibattono anche di Sanità, quindi di Ospedali e di esami diagnostici e di laboratorio.

Quando si parla di Ospedali, qualche volta, mi si accapona la pelle. Non credo che negli ospedali italiani vada tutto male, quando però sento che certi pazienti vengono abbandonati per giorni nei corridoi su scomodissime barelle o che per fare una Risonanza Magnetica si deve aspettare mesi e mesi, a questo punto credo si possa parlare di uno situazione delinquenziale. E trovo che la componente delinquenziale cresca ancora, se è vero che certi interventi o certi esami possono essere fatti in tempi ragionevoli se si apre il borsellino.

A questo punto bisognerebbe chiedersi se gli esami o gli interventi sono veramente necessari. Se sono veramente necessari, può o no accadere che un esame fatto per tempo può permettere al medico di intervenire e aiutare una guarigione? Se un esame o un intervento arrivano tardi, questa vignetta, anziché far sorridere fa piangere e urlare all’ingiustizia di certi Mangiapaneatradimento che inneggiano perché sono riusciti a strappare all’Europa un paio di miliardi.

Da "La Settimana Enigmistica"

Da “La Settimana Enigmistica”

Chi legge sa che sono medico e, forse non sa che ho lavorato venti anni buoni in ospedali. La Sanità e gli ospedali devono esistere per alleviare le sofferenze e, per alleviare le sofferenze bisogna essere nelle condizioni di diagnosticare, e, per diagnosticare sono necessarie idonee apparecchiature e personale specializzato retribuito in modo “giusto”.

Questa vignetta esprime una tragedia forse frequente. Quel “finalmente” può significare “quando ormai era troppo tardi”, quando ormai fare una diagnosi o intervenire è sufficiente solo per dare del lavoro alle Pompe Funebri. Dover aspettare dei mesi per un intervento diagnostico non va bene nello stesso modo come non va bene poter fare subito quell’intervento se si è obbligati ad aprire il borsellino.

Se è vero che ogni cittadino ha diritto alla Sanità gratuitamente (o quasi) e, se è anche vero che, proprio per la Sanità, ogni lavoratore dipendente si vede alleggerire la busta paga, il diritto alla Sanità non è qualcosa di gratuito, è qualcosa che viene pagato, indirettamente ma sempre pagato. Le varie ASL o USL o… come volete voi dovrebbero essere denunciate perché non fanno come dovrebbero. Non danno quei servizi che dovrebbero e lasciano soffrire la gente.

Ma come si fa a lasciare una persona sofferente su una barella, anche solo per un giorno?

Ho lavorato in vari ospedali ma mi sono anche trovato dall’altra parte della barricata; mi hanno fatto una diagnosi di cancro e mi hanno aperto la pancia. Dal momento in cui si è creato il sospetto al momento in cui sono finite le indagini, sono passati pochissimi giorni, neppure una settimana.

È stata questa una componente fortunata del mio abitare in Svizzera?

Ma è proprio vero che in certe zone d’Italia per una TAC o per una Risonanza Magnetica bisogna aspettare mesi?

Non solo faccio fatica a crederlo; faccio fatica a credere che l’italiano sopporti tutto questo.

Ma l’Italia è veramente uno dei paesi del G8? E allora se in Italia è così com’è in altri paesi considerati del terzo mondo?

Certo, i nostri Governanti, quando hanno la bua al pancino vengono trattati con celerità e nei posti migliori; non sanno cosa voglia dire aspettare e… aspettare e… aspettare… e intanto il male si aggrava.

Oggi la cosa più importante è conoscere cosa succederà a Berlusconi dopo il 30 luglio. Tutto il resto può aspettare…

…CHE LE SOFFERENZE GRATUITE CONTINUINO PURE.

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Svariati anni fa, quando ero ancora “giovane”, ero impegnato come anestesista in un piccolo ospedale della Liguria. La zona era piuttosto turistica per cui il lavoro era sufficiente per poter dire che era molto.
L’ospedale si occupava dei locali e, naturalmente anche di chi, di passaggio o meno, arrivava nel tentativo di veder alleviate certe previste o impreviste sofferenze.

Una mattina mi trovavo nel reparto di Medicina e stavo parlando col Vice Primario. Non ricordo quale fosse l’argomento. In quel frangente entrò un ricoverato non più giovanissimo che disse al medico: “Dottore io oggi sarò dimesso.”

“Bene” rispose il collega “sta bene ora?”.

“Certo dottore. Volevo chiederle, posso bere vino?”

“No” rispose l’uomo in camice bianco.

“Posso fumare una sigaretta, ogni tanto?”

“No”.

“Posso bere caffè?”

“No” di rimando.

“Posso bere birra?”; “mangiare paste, dolci, torte?”

“No, no, no” la risposta del Vice Primario fu sempre no.

Dopo qualche altro no, quello che stava per diventare un ex ricoverato uscì dalla stanza e andò a prepararsi nell’attesa del parente.

Io, che ero rimasto zitto in disparte, nell’attesa di riprendere il discorso interrotto, chiesi al collega: “Hai curato tu quel signore?”

“Sì” mi rispose.

Ed io, di rimando: “Cosa l’hai curato a fare?”

“Stava male, ora sta bene.”

“Ma l’hai curato perché possa continuare a vivere?”

“Certo che sì” fu la risposta.

“Ma” gli chiesi “se gli hai proibito tutto quello che piace e che, qualche volta fa bene, gli hai proibito di vivere… per continuare a vivere… come se non vivesse!”.

Il collega non mi diede torto… e me ne andai anch’io per raggiungere il reparto a me più congeniale.

Questo colloquio ricostruito ma perfettamente vero mi sovvenne un paio di giorni fa dopo aver trovato questa figura in francese su questo sito  (http://www.maidermaider.com/bazar/envois/env2013/env2013-04.html):

VIVERE UCCIDE

VIVERE UCCIDE

Deve essere proprio così? Perché vivere deve ucciderci? Ma se non posso prendermi qualche soddisfazione che gusto c’è vivere?

Non posso fare a meno di ricordare al lettore che, se ne ha voglia, può leggere quanto scrissi a proposito del “Businness anti fumo”.

https://quarchedundepegi.wordpress.com/2010/04/18/appendice-n°1-allarticoletto-5/

Devo, o posso, anche ricordarmi di una paziente di mezza età che arrivò a morire a causa di un’asma terribile.

Un paio d’anni prima mi avevano presentato la signora ricoverata da qualche giorno. Era piaciuto, durante un Seminario, il mio “spettacolo” di ipnosi medica. Avevo cercato di stimolare la miope mente dei tenutari della Medicina Accademica; avevo cercato di dimostrare che non potevano essere i depositari della medicina, ma che c’erano anche altri confini valicabili per arrivare a sperare di conoscere la Verità.

Questa signora era asmatica da alcuni anni. Prima che la conoscessi aveva una storia con un’asma “potabile”. Riusciva a vivere quasi normalmente pur avendo bisogno di cure. Aveva il vizio del fumo. Le piaceva fumare; non moltissimo; fumava con piacere; il fumo le dava distensione, la rilassava, le permetteva di sentire con meno preoccupazione i piccoli e meno piccoli drammi della vita di tutti i giorni.

Si sa che i medici curano sempre meno il malato e… sempre di più la malattia. La medicina Accademica (o moderna, o quella di tutti i giorni) usa gli schemi e quello che vuole (o pretende) la statistica. La Medicina Moderna trova 500 persone “uguali”, le studia, le compara, le colma di capsule, supposte, fiale, pomate, cataplasmi ed esprime degli enunciati. In questo caso esprime: “IL FUMO FA MALE!“… e basta. Non si discute; non si considera chi fuma, cosa fuma, quante sigarette al giorno, se le fuma alla mattina presto o dopo mangiato, se le aspira o no. “IL FUMO FA MALE”… e va eliminato.

Quella povera donna fu bombardata ignominiosamente dai miei colleghi: “Smetta di fumare. Fumare fa male. Vuole morire?”.

La signora stava relativamente bene. Non stava per morire e riusciva a godersi le sigarette che fumava. I bombardamenti dei medici furono tali per cui questa signora eliminò dalle proprie piacevoli abitudini l’accendersi ogni tanto una sigaretta. Ricordo che mi disse: “Da quando smisi di fumare la mia asma peggiorò moltissimo e non mi diede più tregua”.

Nel caso di questa signora il fumo era quasi terapeutico; in ogni caso non aveva la negatività che la propaganda pretende.

Non bisogna generalizzare e bisogna tener presente che tutto è relativo.

PENSATE CHE FACCIA PEGGIO UNA SIGARETTA OGNI TANTO O IL COMPORTAMENTO DI CHI STA A ROMA NELLA STANZA DEI BOTTONI?

LA SIGARETTA FA MALE A UNA PERSONA E BENE AL MONOPOLIO. “QUELLI” FANNO DEL MALE A MILIONI DI ITALIANI. 

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ARTICOLETTO 18 – L’ONCOLOGIA

Questa mia nuova attività di “Blogeur” mi obbliga a riflettere su quanto scrivo e su quanto viene letto e sottolineato dai miei lettori.
Loretta Dalola, autrice di un Blog impegnato in “faccende televisive”, rimase allibita di fronte a questa mia asserzione:

…Inoltre gli oncologi cercano con tutte le loro forze di prolungarti la vita, non il vivere…

È una frase che io scrissi di getto in un mio Articoletto.
Bisogna stare attenti a quello che si scrive, per cui, dopo aver letto il commento della Signora Dalola, mi ripromisi di ritornare sull’argomento.

Che i miei lettori siano due o mille, non importa; quello che scrivo deve avere una grande componente di veridicità per cui, i miei lettori appunto, devono credermi fiduciosamente. In questo frangente chiedo ai miei lettori di comprendere la cosa più importante: non scrivo copiando ma soprattutto grazie a riscontri della mia vita professionale.

Una premessa:

MI PIACCIONO I PROVERBI

Uno suona così:

NE UCCIDE PIÙ LA LINGUA CHE LA SPADA

L’altro latino:

VERBA VOLANT, SCRIPTA MANENT

Se colleghiamo i due proverbi ci rendiamo conto che lo scritto può essere l’equivalente della “lingua” sottolineata. Se scrivo e parlo (o asserisco) devo farlo con cognizione di causa dato che può rimanere e colpire.

Cerchiamo di distinguere: “La vita è una cosa, il “vivere” è apparentemente la stessa cosa”. Il “vivere” però dovrebbe prendere in considerazione le modalità con le quali posso gestire la mia vita; in poche parole la qualità della vita.

La vita ci è stata consegnata da Dio.
Per i non credenti il problema si complica nello stesso modo come il concetto di origine della vita che è stato trattato fin dall’antichità nell’ambito di diverse religioni e in filosofia.
In questa sede ci accontentiamo di considerare l’esistenza di un’Entità Superiore che “un bel giorno” ci ha permesso di coniare la parola vita così come nell’uso corrente.

Il vivere è molto più facile e dipende da ognuno di noi. Ognuno di noi, già in tenera età, ha iniziato a gestire il proprio vivere secondo le proprie capacità e secondo le proprie “esperienze”.
Le capacità hanno infinite varianti, così come possono essere innumerevoli le esperienze, risalenti eventualmente anche a vissuti di vite precedenti.

Il vivere potrà essere secondo normalità, cioè normale messo in relazione a ciò che ci circonda. Si potrebbe aggiungere: muoversi, agire e decidere secondo scienza e coscienza; il tutto in uno stato di giusta libertà.

E, per tornare al tema della nostra “discussione” considererei normale il vivere, cioè la vita di tutti i giorni, senza trovarsi obbligati a scandire le ore della giornata, i giorni della settimana e i vari mesi dell’anno con impegni collegati a medici o a strutture ospedaliere. E fino qui la situazione potrebbe essere “potabile” se il collegamento con medici e strutture medicali non fosse continua sofferenza psicologica e fisica.

Oggi (al giorno d’oggi), dal momento in cui a un umano viene diagnosticato un cancro, cambia tutto. La “normalità” va a farsi friggere e inizia un iter pesante e doloroso.
Vengono eseguiti innumerevoli esami di qualunque tipo, dopodichè si passa alla o alle terapie che possono essere combinate; iniziano viaggi a non finire; entra in azione il chirurgo, il radiologo, l’oncologo, lo psicologo, e così via.

A questo povero umano viene detta la verità, viene data speranza, viene eventualmente consigliata una parrucca, medicamenti di vario tipo per combattere l’effetto devastante della chemioterapia, rientra in azione la speranza, continuano i viaggi (magari in ambulanza), riprende spazio la speranza ma, a un certo punto possono finalmente entrare in azione le Onoranze Funebri.

ONORANZE FUNEBRI NELL'ITALIA DEL SUD

Un tempo, ero già laureato, almeno in Italia, non veniva detta la verità. Si parlava di infiammazione; dopo l’eventuale operazione il paziente veniva rimandato a casa anche se l’esame istologico parlava chiaramente di cancro.
Il paziente era convinto di essere guarito. Sapeva di doversi riprendere dall’intervento, non aveva “appuntamenti” coll’oncologo o col radiologo, non subiva controlli ravvicinati e continuava a vivere. Viveva come prima dell’intervento. Se poi c’era la recidiva si prendevano maggiori e diversi provvedimenti, ma se la recidiva non si presentava, la vita continuava senza particolari scossoni fino alla inevitabile morte, ma per cause diverse.
La convinzione di essere stato operato per un’infiammazione, aiutava anche la battaglia contro quelle cellule “aberranti” che avevano provvisoriamente bloccato il nostro personaggio.

Oggi è tutto cambiato. Si dice la verità e si fa di tutto per prolungare la vita.

Conosco più di un caso in cui dal momento della diagnosi al momento in cui l’interessato ha smesso di soffrire morendo, la “medicina” è riuscita a infierire con sofferenze inimmaginabili e con inenarrabili buone parole fatte di speranza e di guarigione. Le buone parole erano una crudele menzogna.

Fino all’ultimo momento l'”accanimento terapeutico” non dava tregua né al paziente e neppure ai parenti.

L’oncologia non è sempre così. In molti casi i risultati sono positivi. Il male è che l’oncologia moderna non cerca di curare la persona. Cura con schemi o protocolli e dimentica l’esistenza di una personalità che, a un certo punto, ha il diritto di morire.

L’accanimento terapeutico “ruba” il diritto a una serena capacità di morire e riposare in pace.

CIMITERO ISLANDESE IN PIENO INVERNO

VITA È FINCHÈ CI SONO LE FUNZIONI VITALI.

VIVERE È QUANDO POSSO GESTIRMI LIBERAMENTE E GIOIRE DELLA VITA E DELLE RELAZIONI COL MONDO CHE MI CIRCONDA.

È impossibile sapere cosa pensa ogni mio interlocutore.

Penso si possa chiedere questo alla Medicina:

AIUTATE LA MIA VITA FINCHÈ POTRÒ VIVERE!

QUANTO SCRITTO IN QUESTO ARTICOLETTO È FRUTTO DI ESPERIENZA PERSONALE E NON È NECESSARIO PENSARE CHE SIA SEMPRE COSÌ E DAPPERTUTTO.

SI TENGA PRESENTE CHE POTREBBE ANCHE ESSERE PEGGIO.

HO PONDERATO MOLTO PRIMA PUBBLICARE QUESTO ARTICOLETTO. PIÙ CHE DEGLI ONCOLOGI, CHE CONTINUANO A LAVORARE CON COSCIENZA E ANCHE CON RISULTATI POSITIVI, HO VOLUTO PARLARE DELL’ONCOLOGIA CHE È DIVENTATA UN “CARROZZONE” CHE SICURAMENTE MIGLIORA IL PIL DEI PRODUTTORI DI CHEMIOTERAPICI, ECC.

ERO ANCHE MOLTO DUBBIOSO CIRCA IL PUBBLICARE LE DUE FOTO. LE HO PUBBLICATE PERCHÈ CONSAPEVOLE CHE LA MORTE FA PARTE DELLA VITA E CHE IN MOLTI PAESI NON FA ASSOLUTAMENTE COSÌ PAURA.

La prima foto è di una pubblicità; la seconda fu da me scattata circa 10 anni fa.


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