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8 OTTOBRE 2004

 

Questo è per me un giorno d’importanza capitale.

Quel giorno era il 732230° dall’anno 0 ed era un venerdì. Tutto questo è sicuramente irrilevante per la maggior parte, o tutti i miei rari, ma affezionati lettori.

 

Ebbene, quel giorno fu per me importantissimo, per due cose… che, in un certo senso mi cambiarono la vita.

 

Pochi giorni prima mi diagnosticarono un cancro… e, con immensa « gioia » mi resi conto che avrei potuto « finalmente » sperimentare il tavolo operatorio… proprio quel tavolo operatorio sul quale per 20 lunghi anni anestetizzai, in vari ospedali d’Italia e Svizzera, tanti Umani di ogni età… di giorno e di notte.

La mia « gioia » fu tale per cui, ogni volta che ci pensavo, mi veniva il nodo alla gola. Si piange anche per la gioia ?… certamente.

Non ho mai pianto e non mi sono mai lasciato andare a disperazioni varie… semplicemente non seppi reagire a dovere di fronte al comportamento « grossolano » di quel mio collega che mi diagnosticò il disturbo visivamente… o in modo ineluttabile.

Per un anestesista incallito è abbastanza terribile doversi rendere conto che potrà dover cedere all’arma taglientissima del bisturi e alle droghe potenti e violente, ma indispensabili del collega anestesista.

Un bisturi

Oggi, proprio oggi, nel 2004, in un momento pomeridiano di quel giorno, mi hanno fatto raggiungere quella sala operatoria che ben conoscevo come operatore sanitario, mi hanno salutato con affetto, mi hanno spedito in quel mondo farmacologico particolare e… mi hanno permesso, dolorante, di ritornare al punto di partenza.

Non ero più quello di prima, con « un pezzo » in meno e un poco di speranza in più.

 

In poche parole, dopo molti anni col coltello dalla parte del manico, volente o nolente, cominciai a conoscere i miei colleghi stando dall’altra parte… e non fu poco.

 

Se però vogliamo essere un pochino precisi, un intervento chirurgico non è la fine del mondo, nello stesso modo come è abbastanza quasi normaleun cancro. Quanta gente l’ha avuto ! Quanta gente è morta a causa di un cancro !… e, quanta gente s’è ritrovata con la pelle d’oca dopo la sentenza diagnostica di un medico ?

Tanta gente ! A meno gente la recidiva… ma questa è un’altra storia.

 

La componente interessante che coinvolse in un modo non indifferente anche la psiche fu il fatto che quell’otto ottobre duemilaquattro, attorno alle 10 del mattino, in un angolo dell’ospedale da me ben conosciuto, poche ore prima del fatidico taglio, fumai la mia ultima sigaretta.

 

Ebbene sì. Proprio oggi, 15 anni fa, fumai la mia ultima sigaretta.

DUE SIGARETTE

Qualcuno potrebbe pensare che le sigarette fossero state la causa del mio cancro. Non è così. Fumare non mi danneggiava particolarmente… danneggiava la mia psiche perché per un vero fumatore il problema più grande è quello di poter rischiare di rimanere senza sigarette… potersi trovare ad infilare la mano in « quella » tasca e non trovare la sigaretta. L’intervento mi offrì l’occasione di mettere la parola fine a questa noiosa necessità.

Oggi mi considero un fumatore che non fuma.

Fumai le prime sigarette all’età di 14 anni… anche rubate al Nonno… che aveva la provvista di sigarette di contrabbando.

Le teneva sotto chiave nella scrivania. Noi, mio fratello ed io, avevamo trovato il modo di « scivolare » in quell’angolo della scrivania… senza colpo ferire e senza lasciare tracce. Quando mancava il tabacco fumavamo camomilla o corteccia di vigna con delle pipette da noi confezionate con le canne ; alle volte potevamo usare il tabacco che rimaneva nei mozziconi che si potevano trovare per terra… più facilmente all’altezza delle fermate del tram o sul tram stesso… la gente fumava anche se c’era scritto VIETATO FUMARE… le sigarette di allora erano senza filtro, quindi rimaneva sempre un po’ di tabacco… naturalmente ben carico di nicotina e catrame e… ben calpestato.

Quando qualche adulto ci vedeva fumare ci diceva che non saremmo cresciuti.

Smisi di fumare una sola volta… per 6 mesi.

Questa volta, dopo fumata l’ultima sigaretta, decisi che avrei smesso definitivamente… e così fu. Devo però dire che la mia decisione fu molto sofferta… per mesi e mesi, dopo le dimissioni dall’ospedale, la sofferenza del non fumare fu grande… veramente grande. Così avevo deciso !

Solo un vero fumatore può comprendere il logorio interno dei primi « molti » mesi.

1950 – QUANDO IL TABACCO FACEVA ANCORA BENE A TUTTI !!!

Il tabacco non fa male. Quando Cristoforo Colombo lo vide fumare per la prima volta, chi fumava lo faceva a scopo terapeutico… poi entrò in azione la « Civiltà » che pensò bene di guadagnarci… e anche tanto.

Il business del fumo fu tale e di tali proporzioni, per cui riuscirono a crearne un altro, quello del NON FUMO.

Furono necessari svariati secoli prima che « Qualcuno » sentenziasse che il fumo fa venire il cancro.

Un business dopo l’altro… e noi tutti, o quasi tutti, crediamo a quello che ci propinano. E a propinarcelo furono e sono le industrie delle sigarette che, non si sa cosa riescono a mettere nel tabacco per produrre assuefazione… e danno… e morte.

 

Comunque sia, oggi sono molto contento ; ricordo con grande piacere che da quindici anni non rifornisco più le industrie del tabacco. Con questa mia gioia punto il dito contro l’industria dei dolcificanti e del « senza zucchero »…

 

AI POSTERI L’ARDUA SENTENZA

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Rispetto gli animali… ma, se lavorassi ancora in questo ospedale… dove mi sono laureato, non sopporterei di vedermi attraversare la strada da una famiglia di famelici cinghiali.

Da GenovaQuotidiana

Questo è uno dei tanti padiglioni dell’Ospedale San Martino a Genova.

Molti amano la carne di cinghiale e molti amano il prosciutto di Parma… gli animalisti vogliono che i cinghiali vengano rispettati e molti vegetariani o vegani inorridiscono di fronte a una “fiorentina”.

A me sarebbe seccato essere quello che in moto si trovò a ruzzolare a causa di un cinghiale.

E voi? Voi accarezzate i cinghiali nel vostro parco o giardino, o li utilizzate al posto dell’aratro?

IL MONDO È BELLO PERCHÉ È VARIO… O AVARIATO?

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Settimo Capitolo

La svolta

 

Claudio s’è stufato. Non ne può più. Non sopporta più l’idea di sentirsi dire che Livia è ipertesa. “Perbacco” pensa “Livia non è ipertesa. Il problema è cardiaco: è da ricercare in quella bradicardia e in quel bigeminismo che non le permette di camminare allungando il passo e non le permette di salire le scale se non un paio di gradini alla volta.”

“Si va ad acquistare un apparecchio;” dice a Livia “così potrò seguirti tranquillamente. Andiamo nella Farmacia Partellini dove c’è quella farmacista gentile che ti ha misurato la pressione qualche giorno fa. Anche se sembra un po’ falsa o invadente, s’è dimostrata affidabile”.

Fu così che Claudio e Livia diventarono proprietari di un apparecchio elettronico per la misurazione della pressione. Ben diverso da quelli col mercurio o con la lancetta che Claudio usava quando seguiva i pazienti durante le anestesie. Questo, alla fine della misurazione, “dice” anche qual è la frequenza cardiaca. Anche questo non esisteva; bisognava stare con le dita sul polso e avere un orologio coi secondi.

Quante volte Claudio stava decine di minuti con le dita sul polso del paziente addormentato, mentre parlava col chirurgo, magari in momenti di difficoltà. Non c’erano le macchine da guardare, c’erano i polpastrelli delle dita che facevano capire la situazione e stimolavano a una soluzione… se s’instaurava un problema. Proprio così; qualche volta, dipendentemente dal tipo d’intervento, per conoscere e capire le condizioni del paziente, l’anestesista aveva a disposizione un avambraccio e una mano, nonché un manicotto per la misurazione della pressione piazzato precedentemente sul braccio fra il gomito e la spalla. Che dovesse arrangiarsi, come si suol dire, faceva parte del gioco. Viene da sé che, col tempo, era sufficiente “auscultare” il polso per inquadrare la situazione del momento. Ma questa situazione poteva cambiare da un momento all’altro, non era statica e bisognava essere pronti a reagire.

Claudio era solito dire che in anestesia, durante un intervento, potrebbe non succedere nulla nello spazio di qualche ora… e poi… potrebbe succedere di tutto nello spazio di pochi istanti e, se per qualche ora ci si è sentiti inutili, in quei momenti bisogna fare “tutto” nel modo giusto.

Ora Claudio misura frequentemente la pressione a Livia. Ma la pressione è raramente oltre la media; la frequenza del polso talmente bassa per cui la “macchina” non lo segna.

Viene la sera e Livia, prima di andare a letto, prende come quasi ogni sera il suo lassativo. Un lassativo a base di erbe, in un certo senso perfettamente naturale, apparentemente innocuo; così innocuo per cui, non solo non è necessaria la ricetta medica, ma nessuna cassa malati lo rimborsa. È uno sciroppo che ha un buon gusto e viene usato regolarmente in una Clinica di Lugano che va per la maggiore. Fu in quella Clinica che Claudio conobbe quello sciroppo quando, come paziente, fu operato dall’amico Borgonuovo.

Quello sciroppo prevede l’assunzione di qualche bicchiere d’acqua… dopo lo sciroppo. È qui che accadde quello, perché no, stupendo giro di boa che avviò con certezza Livia verso il benessere.

LO SCIROPPO.

Mentre Livia beve l’acqua dopo lo sciroppo dice: “Non capisco cosa mi sta succedendo; non riesco a deglutire l’acqua, non riesco a mandarla giù, mi fa male in esofago, mi fa male come se in esofago (che si trova prima dello stomaco) ci fosse una lesione. Non so cosa devo fare.”

Il primo pensiero è l’esistenza effettiva in esofago di una lesione… da indagare. Il modo migliore, e oggi sicuramente unico, è un’esofagoscopia.

Certo che, in questo caso dover pensare anche a una lesione in esofago diventa un vero dramma, non facile da sopportare. L’organismo di Livia è diventato fragile e non ha bisogno di un’indagine di questo tipo sicuramente stressante.

È sera e Claudio, piuttosto sconfortato, comincia a pensare al peggio. Livia sta prendendo le gocce già da un po’ di tempo. Anche se la pressione non è alta, questa difficoltà a deglutire l’acqua è veramente sconcertante.

“Però… però” pensa Claudio “a Livia fa male bevendo l’acqua, la semplice acqua, e dopo aver preso lo sciroppo. Che ci sia un nesso logico? Impossibile, lo prende da svariati mesi e ha sempre funzionato bene. Ma se lo prende regolarmente da svariati mesi, perché non si dovrebbe pensare che potrebbe aver sviluppato un’intolleranza a uno o più componenti dello sciroppo?”

Per fortuna Claudio conosce perfettamente il problema delle intolleranze alimentari; quelle che per la Medicina Accademica sono più o meno come le allergie o si esauriscono all’intolleranza a lattosio e/o glutine (che però non sono vere intolleranze).

Le intolleranze sono un’altra cosa, e sono anche piuttosto subdole, dato che possono esistere proprio per quegli alimenti che si assumono più frequentemente e con maggior piacere. E Claudio non può non ricordare quel nipote, il figlio della sorella, al quale fu intimato di sospendere ogni “vasca”… essendo lui un pallanuotista impegnato anche agonisticamente.

Cosa gli era successo?

In occasione della periodica visita medica gli fu riscontrata un’aritmia cardiaca, e, conseguentemente, ulteriori accertamenti. Claudio, che si trovava da quelle parti, poté “vederlo” con spirito kinesiologico e riscontrare un’intolleranza al frumento, con necessità (o utilità) di sospendere l’assunzione di ogni alimento contenente frumento; quindi… pane, pasta e pizza. Il nipote, pur dispiaciuto di non poter più mangiare la quasi quotidiana pasta asciutta, accettò di buon grado il consiglio dello Zio e si sottomise ai vari esami diagnostici della Medicina Sportiva. Per fortuna non gli fu consigliato alcun medicamento e, mentre il tempo passava e l’organismo si “disintossicava” dal frumento ingerito in tanti anni, l’aritmia cardiaca diventò un ricordo e, dopo circa sei mesi, poté riprendere l’attività agonistica.

Ovviamente, i “Luminari” della medicina sportiva non vollero assolutamente neppure ipotizzare l’esistenza di un’intolleranza alimentare alla base di quell’aritmia cardiaca. Infatti quando la sorella di Claudio comunicò ai medici la possibilità dell’esistenza di un’intolleranza al frumento, fu considerata una visionaria.

Lo sciroppo assunto da Livia è, in ultima analisi, un alimento… o la miscela di alimenti… in ogni caso non sintetici. Claudio, prima di continuare a pensare, prende Livia e col flacone dello sciroppo, grazie a una kinesiologia spicciola, può prendere atto, con sicurezza quasi matematica, che quello sciroppo non va bene a Livia, per cui si può parlare di intolleranza.

È questa la svolta; un clamoroso giro di boa. Se Livia non avesse detto che non riusciva “a mandar giù” l’acqua dopo aver preso lo sciroppo e Claudio non avesse captato quello che il corpo di Livia voleva dire, probabilmente… chissà come sarebbero andate le cose.

Credo possa essere molto importante cominciare a distinguere la differenza fra l’allergia e l’intolleranza, in questo caso “alimentare”.

Vorrò introdurre l’argomento con una specie di storiella più che vera e frutto dei trascorsi terapeutici di Claudio.

È un caso particolarmente rappresentativo e interessante risalente agli anni 80 del secolo scorso:

Una ragazza dell’età di 28 anni soffre da qualche anno di crisi di panico con coinvolgimenti anche a livello cardiaco (tachicardie e difficoltà respiratorie di tipo ansioso). Attraverso le indagini del caso si scopre che è intollerante al frumento. Sentirsi dire che deve abbandonare tutti quegli alimenti dove si trova il frumento, mette in un certo senso, ancora di più in crisi la persona. Di fronte all’evidenza dei fatti accetta il discorso ed elimina tutti quegli alimenti che contengono frumento. Un’analisi più approfondita a livello inconscio dimostra che all’età di 3 anni, mentre mangiava un piatto di pasta asciutta, subì, da parte della madre, uno stress molto intenso. Da quel momento “memorizzò” il frumento e, molti anni dopo, per delle ragioni di scarso interesse terapeutico si trovò di fronte a una situazione stressante che scatenò la patologia.

Nel caso riportato, dopo alcuni mesi di astinenza al frumento, la paziente ritrovò uno stato di completo benessere e l’intolleranza al frumento “svanì”.

L’esempio citato per sommi capi dimostra come un semplice alimento può “gestire” una patologia complessa e terapeuticamente difficile. Dimostra altresì che l’alimento produce un consistente coinvolgimento di organi distanti dall’apparato digerente, ma raggiunti attraverso il cervello o più correttamente la psiche, o più correttamente ancora l’inconscio.

Quello riportato è solo un esempio molto significativo nel quale è stato possibile mettere a fuoco il problema.

Non sempre è possibile analizzare alla radice il problema; ma questo non significa che “per tutta la vita” quell’alimento dovrà essere vietato.

Non è neppure detto che sia necessario andare sempre alla radice.

Questo caso ci introduce all’importanza dell’argomento, e cioè che un alimento, o più alimenti, possono portare a disordini non indifferenti.

Per distinguere con semplicità un’allergia da un’intolleranza, si può dire che un’allergia produce una reazione immediata o quasi, mentre un’intolleranza produce rarissimamente qualche disagio immediato; il più delle volte sembra che faccia bene, ma in modo solo apparente.

L’esperienza, ormai pluriennale di Claudio dimostra che le intolleranze alimentari, almeno quelle importanti, nascono nel nostro inconscio, in quella parte cioè del nostro “cervello” che non può sottostare al condizionamento della nostra volontà.

È questa una possibile definizione di inconscio:

Ciò che non affiora allo stato di coscienza e pertanto non è soggetto al controllo della ragione e della volontà.

 

Ma come può instaurarsi un’intolleranza ?

In queso modo :

Quando noi iniziamo un pasto o semplicemente « sentiamo », anche col pensiero il profumo piacevole di un alimento, non pensiamo assolutamente al fatto che in noi c’è una componente chiamata inconscio che può interagire subdolamente col nostro pasto o pensiero di pasto.

 

Il processo digestivo inizia concretamente quando introduciamo in bocca un alimento. Dopo averlo masticato, l’alimento viene deglutito, raggiunge lo stomaco e attraverso l’intestino viene « digerito ».

Questa fase importante della nostra giornata, volenti o nolenti, ci collega al nostro invisibile ma potentissimo inconscio che, dotato di formidabile memoria, analizza l’alimento, ne può analizzare i componenti, e, molto silenziosamente, riesce, se necessario, a collegare l’alimento (o uno dei componenti) a eventuali situazioni stressanti del passato, anche molto lontane nel tempo.

Se trova un collegamento, cioè se ci sono dei ricordi stressanti che si possono mettere in relazione a quanto ingerito, il nostro inconscio, per il momento, rimane perfettamente tranquillo e aspetta. Cosa attende?

Un semplice esempio : « Pinco Pallino aveva avuto una bambinaia tedesca decisamente severa, quasi cattiva, che consumava molto caffè. Pinco Pallino, dopo l’adolescenza e l’Università diventò adulto ed entrò nella cosiddetta vita di tutti i giorni.

Ha una moglie e tre figlie. Beve giornalmente con grande piacere alcuni caffè… finché un bel giorno, mentre si trova al bar a sorseggiare il solito caffè in compagnia di colleghi di lavoro, sente una persona, che non conosce e che si trova un po’ più in là, parlare tedesco con un timbro di voce molto simile a quello della bambinaia ; si ricorda, ma solo inconsciamente, delle cattiverie subite durante l’infanzia e da quel momento comincia a riesumare le paure subite. Sulle prime non accade nulla, ma, perdurando il consumo di caffè, entra in azione la somatizzazione delle paure che si scatena con scariche improvvise di diarrea ».

Quindi l’inconscio attende di analizzare se in futuro quell’alimento verrà nuovamente introdotto. Se quell’alimento « incriminato o non gradito » verrà introdotto ancora o addirittura con regolarità, l’inconscio, poco alla volta, senza fretta, reagirà e stimolerà l’organismo a produrre dei disturbi che potranno avere degli adentellati con lo stress del passato, cioè dei disturbi somaticamente « simili » oppure indirizzati verso i nostri organi più deboli (in latino: locus minoris resistentiae).

L’interessante di questo processo è che, il più delle volte, l’alimento « non gradito » dall’inconscio è graditissimo dal proprietario, nel senso che gli sembra di non poterne fare a meno. Altre volte l’alimento al quale siamo intolleranti viene catalogato : « Non mi piace ; non riesco a mangiarlo ; è tantissimo tempo che non ne mangio ».

In poche parole, grazie a questo meccanismo, dopo che l’inconscio è riuscito a mettere in atto un certo tipo di patologia, ogni volta che noi assumiamo quell’alimento (anche se mascherato) il nostro inconscio lo trova e ci punisce intensificando il disturbo.

Cosa significa praticamente tutto questo ?

Significa che, se siamo intolleranti a un determinato alimento che mangiamo spesso e volentieri, il nostro inconscio ci punirà facendoci ammalare, il più delle volte in modo cronico.

Un disturbo del ritmo cardiaco, una cefalea, un’artrite o addirittura una psicosi possono avere come causa o concausa proprio quell’alimento che gustiamo con particolare piacere.

È quell’alimento, proprio quello che è necessario ricercare e, se necessario trovare.

Il discorso sulle intolleranze sarà completo quando verranno prese in considerazione le Intolleranze al lattosio e al glutine della Medicina Accademica.

 

Livia, ovvero l’organismo di Livia, fece comprendere a Claudio che quello sciroppo non andava bene; ma non lo fece con lo sciroppo, bensì con l’acqua, con la semplice acqua che dovrebbe andare sempre bene. Lo fece con l’acqua perché altrimenti l’interpretazione sarebbe stata troppo semplice. In ogni caso è chiaro che non era un’allergia dal momento che Livia assumeva da lungo tempo quello sciroppo.

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Sesto Capitolo

 

La pressione

 

È già passato più di un mese e mezzo da quando Livia ha cominciato a star male. Nessuno fino a questo momento ha voluto credere al fatto che il bigeminismo, con bradicardia ben rilevabile al polso, fosse la causa della sofferenza.

Come d’accordo, il giorno dopo, Livia e Claudio si presentano nella farmacia sotto casa e chiedono la misurazione della pressione.

Siamo ormai arrivati in pieno nel mese di luglio; la temperatura è piuttosto calda, ma non dà fastidio più di quel tanto. La farmacista è molto gentile, s’informa circa i precedenti e misura un paio di volte la pressione a Livia. Si rende conto che la pressione non è alta; è il polso che non va bene!… sempre quel benedetto polso che “bradicardico” (cioè troppo lento) produce continue sofferenze.

In ogni caso è sabato e non è possibile consultare alcun medico a meno che non si voglia affrontare le terribili “trafile” dei Pronto Soccorso che, salvo rari momenti, hanno tutto ad eccezione del “pronto”.

Claudio sa per certo che finire al Pronto Soccorso è pericoloso.

“Perché?” chiederebbe qualcuno “perché sono cattivi?”

“No, non sono cattivi; sono pochi, e, dato che sono pochi, se una persona non sta terribilmente male, o non sta per morire o non arriva in ambulanza, può dover aspettare ore e ore.”

“Ma come mai sono pochi?”

“Perché anche in ambiente ospedaliero bisogna risparmiare o si è incapaci di considerare l’argomento in modo statistico.” Risponderebbe Claudio.

Se di questi tempi si va in un ufficio di una certa “importanza”, come un semplice ufficio postale perché si desidera riscuotere dei soldi, per prima cosa verrà richiesto il Codice Fiscale. In Svizzera verrà facilmente richiesto il numero AVS o altro numero che identificherà l’utente. In poche parole siamo tutti dei numeri, magari con qualche lettera dell’alfabeto. Se si va al Pronto Soccorso, ad identificare la gravità, sarà un colore: dal bianco al rosso passando dal giallo al verde. Al sofferente verrà appioppato un colore e, se non riuscirà ad essere abbastanza isterico, l’attesa potrà essere lunga; molto lunga. Claudio lo sa benissimo; e lo sa per esperienza personale, perché Claudio è stato anche paziente, e, se sente parlare di pronto soccorso gli viene la pelle d’oca. Intendiamoci, Pronto Soccorso entro i confini della Confederazione Elvetica, non della Repubblica Italiana.

Ormai si riesce a sopravvivere e, continuando Livia a prendere le gocce consigliate da Claudio, si può, e in un certo senso si deve sperare in un miglioramento.

Arriva il fatidico lunedì, arriva quello che potrebbe essere il giorno della verità, quello in cui si pensa che il Medico, quello con la emme maiuscola consideri chi soffre in modo non solo tecnologico.

Grave errore! Purtroppo l’ottimismo, cioè la speranza di veder alleviate le proprie pene, finalmente dopo tanti giorni… va, come si suol dire, a farsi friggere.

Può accadere lo stesso iter, ma con modalità diverse, quando, dopo una lunga e sofferente attesa al Pronto Soccorso, si viene finalmente introdotti in un asettico loculo a ricominciare l’attesa di chi dovrà stimolare o aiutare la parola fine alla sofferenza. Chi soffre, magari per un sub-ileo (blocco intestinale praticamente completo), ha freddo anche se la temperatura esterna è più che gradevole. Per farla breve, chi soffre ha freddo, ovvero veramente freddo e sente l’aria condizionata come un vento gelido e malsano. Il massimo che può fare il personale di passaggio sollecitato a gran voce è: “un lenzuolo piegato e pesante molto caldo estratto da un armadio tipo termosifone.” La grande speranza di veder alleviata la sofferenza, una volta essere stati introdotti nel loculo da visita, dovrà durare ancora un po’.

 

Il Dr. Bardelli è fissato sull’ipertensione. Secondo lui Livia è ipertesa e, come tale va curata. Che fa? Semplicemente fa applicare un cosiddetto esame Remler, che non è altro che un’apparecchiatura abbastanza noiosa, da tenersi per 24 ore, che misura la pressione arteriosa massima e minima ogni 15 minuti di giorno e ogni 30 minuti di notte, e la registra.

Livia sperava in una terapia, non in un supplemento di diagnosi.

Ma ecco che si comincia a vedere un altro spiraglio. Arrivano finalmente da Bellinzona le gocce di produzione svizzera che Claudio aveva ordinato prima di partire per Merano. Ma cosa sono? Sono gocce che parlano francese dato che vengono prodotte nella Svizzera Romanda; si chiamano Serum Equi Coeur-vaisseaux e hanno un’azione positiva sul cuore e sui vasi sanguigni. Sono gocce omeopatiche ricavate da anticorpi anti organo prodotti dal cavallo. In poche parole “funzionano” come immunomodulatori. Claudio conosce molto bene questi prodotti, sa che sono innocui, nel senso che non fanno male se usati nel modo giusto. Non è come quando si usa un prodotto della chimica farmaceutica che, secondo Claudio, fa sempre male e, qualche volta fa bene. Livia fu testata prima di partire per la vacanza e si vide che avrebbe dovuto prenderne 15 gocce 2 volte al giorno. Da oggi lunedì si “succhierà” la misurazione della pressione con regolarità e, con altrettanta regolarità prenderà le gocce. Intanto ricomincerà l’attesa… la speranza di sapere come quando si aspettava il responso dell’Holter.

Arriva. Arriva la risposta. Arriva in modo burocratico. Una lettera al medico curante e, per conoscenza e cortesia a Claudio che, oltre ad essere il marito di Livia è anche medico.

La lettera inviata alla Dottoressa Canapa parla con dovizie di particolari di una tendenza ipertensiva sia diurna che soprattutto notturna. Consiglia di aumentare il medicamento contro l’ipertensione (Atacand) e prevede di riprendere il discorso dopo l’esame “Risonanza Magnetica”.

Claudio non è per niente soddisfatto. Non è convinto circa la diagnosi di ipertensione e, prima di approdare al Centro Cardiologico per far sottoporre Livia alla Risonanza Magnetica, vuole parlare ancora una volta col Dr. Bardelli. Bisogna dire che è molto gentile, accetta di parlare e non sembra aver fretta. È convinto più che mai che Livia sia un’ipertesa. Claudio che, in fondo in fondo come cardiologo è un ignorante, gli dice tutto di sì e anche che avrebbe fatto prendere a Livia un Atacand in più… senza dirgli che non l’ha mai preso.

Quando Livia ha a che fare con un medico non fa pedestremente tutto quello che le viene chiesto o imposto di fare.

Facendo un piccolo passo indietro di qualche anno quando un luminare della pneumologia le disse: “Lei signora deve mettere in conto che dovrà sopportare un paio di bronchiti o broncopolmoniti all’anno”, Livia, che aveva ancora abbastanza fiducia nelle istituzioni accademiche della medicina, si rifiutò di fare l’ennesima “spirometria”. Aveva capito che non serviva a niente e che faceva solo bene all’ospedale perché in quel modo poteva ammortizzare prima le apparecchiature.

Le istituzioni mediche, attraverso la Classe Medica, desiderano arrivare a una diagnosi, e, per arrivarci seguono degli schemi. E, sempre con un occhio agli schemi, vengono somministrati i medicamenti.

Ora a Livia viene proposto un medicamento per una “tendenza” ipertensiva. Ma Livia, anziché “buttarsi” sul medicamento, preferisce analizzarlo interrogando internet e capisce che esistono delle controindicazioni in presenza di antecedenti problemi a carico del sistema respiratorio.

“Io quell’affare non lo prendo.” dice Livia a Claudio “non vorrei stare ancora peggio.” E poi, e questo sarà di difficile o impossibile comprensione, dopo test kinesiologico, il muscolo dice NO per quel medicamento.

Nella vita di ognuno di noi, ci sono giorni che potremmo definire illuminanti, giorni cioè in cui accade quel qualcosa quasi impercettibile ai più che necessita di essere compreso e cambia la vita. Quei giorni, sono giorni della svolta o, con termini regatanti, del giro di boa. Se si piazzano bene le vele perché s’è interpretato bene il vento si può vincere la regata.

Cosa succede di così particolare?

Accadono due cose importanti, la prima apparentemente di ordinaria amministrazione, la seconda, di tale importanza e talmente speciale la sua interpretazione, per cui diventa impossibile non pensare che il benessere di Livia non possa dipendere proprio da quel momento particolare; sì, proprio così: un momento particolare.

Quel “momento particolare” che Claudio ha saputo captare, avrebbe potuto essere elaborato e compreso da qualunque medico capace di “ascoltare” le parole del paziente, solo se consapevole che le parole di chi, sofferente, cerca di raccontarsi, sono importantissime oltre che genuine. E questo non possono farlo le macchine; lo può fare solo l’orecchio empatico del medico che non ha fretta.

Da quasi due mesi, i medici che hanno visto Livia, pretendono di “vederla” quasi solo attraverso le macchine, dimenticandosi che Livia è lì e può anche essere toccata e interrogata.

 

 

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Quinto Capitolo

 

Ritorno a casa

 

Claudio, come s’è detto, non è la prima volta che va a Merano con Livia. S’è anche detto che Claudio può essere considerato piuttosto vecchio essendo nato nel 1936, lo stesso anno in cui a Merano lanciarono la Lotteria Ippica collegata alla corsa dei cavalli. In quell’occasione Claudio aveva sì e no quattro mesi di vita.

Merano però, almeno dopo la Seconda Guerra Mondiale quando Claudio cominciava a “capire” ciò che lo circondava, era famosa in Italia grazie alla lotteria, così come Monza, Agnano e Viareggio che facevano vincere tanta moneta sonante a pochissimi fortunati.

Merano nel Südtirol, diventò parte del Regno d’Italia dopo la Prima Guerra Mondiale. Prima faceva parte dell’Impero Austro-ungarico e “si parlava tedesco”. Coll’avvento di Mussolini che pretese di italianizzare “tutto a tutti i costi”, così come accadde in Val D’Aosta dove si parlava francese e in Istria per chi parlava slavo, anche Meran divenne Merano e guai se qualcuno non si esprimeva in italiano.

Negli ultimi anni della Seconda Guerra Mondiale, dopo la costituzione dell’Operationszone Alpenvorland che accomunò all’Alto Adige le provincie di Trento e Belluno, non solo si parlava tedesco, ma era a Merano come essere nel Reich della Grande Germania, per cui la lingua tedesca ritornò ad essere la lingua ufficiale. Nello stesso periodo fu costituita dai nazisti anche l’ Operationszone Adriatisches Küstenland confinante con la provincia di Belluno comprendente anche la neo provincia di Lubiana. In queste due zone che furono sottratte alla giurisdizione della Repubblica di Salò, gli abitanti potevano parlare la loro lingua, e cioè il tedesco, l’italiano e lo slavo.

ALPENVORLAND (in alto a sinistra)

Finita quella terribile guerra, la provincia di Bolzano tornò all’Italia e ci furono alcuni “problemini” d’intolleranza verso la madrepatria.

Attualmente ci si può accorgere come il bilinguismo sia accettato serenamente da tutti gli abitanti del posto; meno dagli altri italiani della penisola.

Claudio, che vive in Svizzera dove si parlano ben 4 lingue, è dell’idea che, per una nazione come l’Italia sarebbe molto bello, se non addirittura auspicabile, che in alcune zone, gli abitanti potessero parlare la loro lingua senza dover subire una specie d’ostracismo. L’italiano di Bologna o di Ancona parte dal punto di vista che se un territorio si trova entro i confini della repubblica, in quel territorio bisogna parlare italiano… e non si discute. Se quell’italiano, in Alto Adige, si rivolge a qualcuno in italiano, s’arrabbia se non è capito.

Il cittadino di Bolzano o Merano ha già subito abbastanza “sevizie” per il fatto di essere nato dove si parla abitualmente una lingua diversa dall’italiano; perché non tutelarlo affinché possa mantenere in tutto e per tutto la propria identità? E non potrebbe essere un argomento assimilabile alla tanto sbandierata “biodiversità” degli ultimi decenni? Tanto più che la tutela linguistica di certe zone fa parte di una legge del 1999?

Durante il soggiorno a Merano, Claudio, che ha lavorato alcuni anni nella Svizzera tedesca e parla un po’ il tedesco, ogni volta che entra in un negozio o in un bar, si rivolge ai gestori nella loro lingua… e si sente rispondere in italiano. Quelle persone capiscono perfettamente che Claudio non è uno di lingua tedesca e, per educazione, rispondono in italiano.

“L’italiano d’Italia” soffre molto, addirittura si offende quando si accorge che nel Südtirol (o Alto Adige) l’indigeno fa finta di non conoscere la lingua italiana. L’indigeno ha una dignità, e non gli va se viene calpestata. Secondo Claudio, nello stesso modo come i Baroni della Medicina dovrebbero abbandonare i paraocchi tutte le volte che sentono parlare di omeopatia o di cromoterapia, così i Governanti dovrebbero vezzeggiare il cittadino italiano che parla un’altra lingua, ma è contento di far parte della Repubblica Italiana.

Il soggiorno a Merano finisce. Si torna a casa. Livia non sta proprio male, ma, malgrado la visita in alcune farmacie, non è riuscita a capire se è o no ipertesa. Purtroppo, Livia e Claudio non hanno potuto godersi appieno l’ospitalità degli altoatesini. Ne conserveranno un buon ricordo. Si torna a casa passando dall’Austria attraverso la Val Venosta e il Passo di Resia.

IL PASSO DI RESIA

Il Passo di Resia offre la “specialità” del lago artificiale dal quale spunta il campanile romanico del secolo XIV “residuo” del villaggio Curon Venosta distrutto e sommerso nel 1950 per produrre energia elettrica. La vista di quel campanile che fuoriesce dall’acqua ha un non so che di surreale e lascia veramente perplessi con una specie di vuoto nello stomaco misto a desolazione. Deprime dover pensare che, per un po’ di energia elettrica, molte persone abbiano dovuto soffrire e molte coltivazioni abbiano dovuto essere distrutte. Claudio sapeva del lago e credeva che quella popolazione fosse stata giustamente indennizzata. Da quello che ha trovato scritto in loco, ben il 70% della popolazione fu costretta a emigrare e ben 181 costruzioni furono distrutte prima dell’allagamento.

Pare che il progetto iniziò negli anni in cui la faceva da padrone il fascismo, per cui è comprensibile pensare che la popolazione di lingua tedesca, non ancora sufficientemente italianizzata, non ricevesse dal Governo di Roma il dovuto rispetto.

Certo che quella popolazione, dal 1939 al 1950 deve aver sofferto molto; specialmente, si pensi al fatto che ben 181 costruzioni furono distrutte con la dinamite.

Prima di passare in Austria, Livia e Claudio si fermano un poco in quel punto, e, benché l’avvenimento del riempimento dell’infuso fosse vecchio di decenni, capirono quello che poté essere il dramma di quella popolazione.

Livia ha sempre un piccolo disagio, però, durante il viaggio dichiara di avere una “stretta al collo, al cuore e al mediastino”. Sembra quasi un peggioramento della patologia. L’unica cosa da fare è arrivare a casa e poter telefonare al Dr. Bardelli; nel frattempo Claudio mette nella bottiglietta d’acqua che Livia ogni tanto beve, 20 gocce coll’energia del cristallo Zoisite. Con queste gocce la situazione migliora, e i nostri viaggiatori possono proseguire tranquillamente, e dopo il passo dell’Arlberg, andarsi a cercare un ristorante per rifocillarsi. Il viaggio infatti è ancora lungo, ma vario: prima il Voralberg austriaco, poi il Principato del Liechtenstein e finalmente la Svizzera.

Con le gocce di Zoisite il disagio di Livia migliora ulteriormente, per cui potrà affrontare la galleria del San Bernardino e raggiungere il Canton Ticino.

Arrivano bene a casa. Ha guidato sempre Claudio. Certo che un piccolo cambio di guida sarebbe stato utile! Ma Livia ora non se la sente e preferisce non guidare.

Non passano più di ventiquattrore dal giorno in cui si trovano nuovamente a casa che, si potrebbe proprio dire, per Livia e Claudio sta cominciando un ballo più che particolare.

Anche se Claudio non credeva all’ipertensione sentenziata dal Dr. Bardelli, nel senso che era convinto che l’ipertensione registrata fosse una reazione dell’organismo alla bradicardia e allo stress, sentiva come veramente terribile il bigeminismo del polso di Livia ed era convinto che fosse necessario agire a quel livello.

Claudio, come medico, è convinto che in medicina si dovrebbe, nel limite del possibile, cercare di arrivare alla diagnosi del « perché ». Non si può pensare di avere un effetto senza una causa. Livia sta male, ha cominciato a star male a un certo punto, non a pallino ; ma ci sarà stata una ragione o, così… proprio così un bel giorno il suo cuore ha deciso di fare i capricci? No, non va bene così, se il cuore di qualcuno fa i capricci, si dovrà cercare di tamponare la situazione e, eventualmente anche agire con violenza, ma poi, con calma si deve, se possibile, andare alla radice. E questo è un argomento che non esiste quasi mai nella Medicina Ufficiale.

Claudio e Livia sono appena tornati dalla settimana di vacanza a Merano. Sono contenti di essere di nuovo a casa ; erano partiti perché il Dr. Bardelli aveva detto loro che non c’era nulla di grave. Ora però ci si trova di fronte a una svolta : il Centro Cardiologico che aveva messo l’Holter, convoca telefonicamente Livia per una Risonanza Magnetica.

“Ma chi ha detto” chiede Claudio che riceve la telefonata “che mia moglie deve fare la Risonanza Magnetica?”

“Il Dr. Bardelli” risponde la signorina del Centro.

“Bene” è la risposta di Claudio “lo dirò a mia moglie e vi farò sapere”.

 

Livia prende tempo: “Adesso non ho alcuna intenzione di andare a fare la Risonanza Magnetica. Ma il Dr. Bardelli non aveva detto che non c’era nulla di grave? che non era il caso di preoccuparsi?”

“Aspetta un momento,” cerca di tranquillizzarla Claudio “a me non sembra che tu sia ipertesa e che sia necessario fare una RM. Domani passiamo in farmacia, qui vicino a casa, e facciamo misurare nuovamente la pressione.”

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Nel settembre del 2016 misi online l’Introduzione e il Primo capitolo:

https://quarchedundepegi.wordpress.com/2016/09/25/livia-alle-prese-con-la-medicina-ufficiale-di-alessandro-depegi/

https://quarchedundepegi.wordpress.com/2016/09/29/primo-capitolo-livia-alle-prese-con-la-medicina-ufficiale-di-alessandro-depegi/

Mi fermai perché avevo pensato che poteva essere buona cosa cercare un editore disposto a stampare e divulgare. Non posso dire di aver cercato molto; c’è qualcosa che mi trattiene.

Recentissimamente l’amica Rosa di Genova ha riesumato il PRIMO CAPITOLO.

Ergo, ho pensato di mettere online il secondo capitolo… poi… poi vedremo. Rimango dell’idea che i gradini vanno fatti uno alla volta.

Questo il SECONDO CAPITOLO:

 

Il cardiologo

 

La cittadina dove Livia e Claudio rimangono per un po’ di giorni è molto bella e aiuta, col clima marino a ritemprarsi… fino a un certo punto però.

Ha infatti un’ampia passeggiata a mare che permette non solo di camminare senza fretta respirando a pieni polmoni l’aria pulita da cui ci si trova circondati, ma anche di ammirare un mare fonte di vita e captarne i colori che, a seconda del momento della giornata, cambiano in continuazione.

MARE

Livia con Claudio ne approfitta per tentare di riprendersi. Purtroppo l’extrasistolia la disturba molto per cui quando cammina deve rallentare molto il passo e deve sedersi frequentemente. Se poi deve fare anche pochi gradini, l’affanno fa capolino, quasi violentemente, e deve fermarsi.

Claudio non sa più cosa fare. Purtroppo Livia è sempre sofferente e questa bradicardia con extrasistolia continua ad infastidirla. Decide di telefonare alla dottoressa Canapa e chiedere il suo pensiero: “Scusa Giacinta se ti disturbo, ma non so più da che parte voltarmi. Qui la situazione è sempre la stessa; il polso sempre uguale, se non peggio. Avrei pensato di dare a Livia, tanto per cominciare, mezza compressa del betabloccante Concor 2.5; cosa ne dici?”

La dottoressa è sempre molto gentile e disponibile: “Mi sembra un’ottima idea.” risponde “L’indicazione è quella giusta.”

Nel ringraziarla, Claudio pensa: ”Questa donna è un po’ una mosca bianca. Si comporta in modo veramente collegiale… anche se è molto occupata accetta di rispondere e, fuori orario, acconsente di essere chiamata sul cellulare. È sempre peggio! Sempre meno medici sono rintracciabili “fuori orario” e, se in orario è impossibile avere un colloquio o bisogna sottostare agli interrogatori di acide e impersonali segretarie.”

Claudio si sente sollevato e dà la mezza pastiglia a Livia che sembra ne abbia subito un piacevole beneficio. Sembra solo. Il miglioramento dura poco perché sparisce l’extrasistolia, ma la frequenza diventa bassissima: 30 pulsazioni al minuto!

Claudio si spaventa e, mentre aspetta che la situazione ritorni almeno come prima: “Prima o dopo l’effetto sparirà!”, è sempre lì a tenere il polso di Livia.

Se c’era una cosa che sapeva fare Claudio, era quella di sentire il polso di una persona. 20 lunghi anni in sala operatoria quando i monitor non c’erano e si doveva controllare la situazione anestesiologica col polso, coll’apparecchio della pressione a mano e coll’osservazione della pupilla.

Onde far comprendere anche “agli addetti ai lavori” qual era la routine del medico anestesista negli anni 60, sarà bene descrivere per sommi capi cosa doveva fare un anestesista durante un intervento della durata, per esempio, di 2 ore. Può essere interessante anche per il profano che, non raramente, crede che il compito dell’anestesista si riduca a un’iniezione endovenosa di “dormia”.

Quante volte Claudio si è sentito dire: “Mi raccomando dottore, me ne dia tanta (di dormia); non voglio svegliarmi durante l’operazione.”

Oppure, e questo Claudio lo sentì nella Svizzera francese, quando un paziente si recò presso l’abitazione dell’anestesista che sostituiva per pagare l’onorario di un’anestesia; avrebbe detto testualmente: “Vengo a pagare l’iniezione.” E avrebbe aggiunto: “Però costa cara l’iniezione!”

Claudio aveva imparato i rudimenti dell’anestesiologia nelle cliniche universitarie di Zurigo. Aveva imparato che la precisione era importantissima.

Orbene, un buon anestesista, anche se aveva a disposizione un respiratore automatico, doveva, ogni 10 minuti, misurare la pressione arteriosa e il polso… e doveva scriverli; se poi qualcosa non seguiva la norma o aveva il sentore che si dovesse stare con le antenne ben tese, controllava quello che faceva il chirurgo e rimaneva con le dita incollate sul polso del paziente; doveva poi controllare le pupille ed eventualmente far sì che l’occhio rimanesse chiuso (per evitare la cornea perdesse la necessaria umidità). Ogni tanto passava la mano sulla fronte del paziente per controllare eventuali sudorazioni anomale. Se poi era necessario poteva anche dover trasfondere sangue o altri liquidi… endovena. Non sempre aveva un respiratore automatico a disposizione, per cui, oltre a tutto il resto, aveva il compito di ventilare il paziente a mano… con un pallone!

Il suo primario dovere era però quello di conservare uno stato ottimale di narcosi e rilassamento muscolare controllando la necessità di iniettare i giusti medicamenti nella giusta quantità per permettere, alla fine dell’intervento, un sereno risveglio con ottima respirazione autonoma.

Secondo Claudio, l’anestesia è un’arte, non è un mestiere. Un anestesista, che maneggia medicamenti molto potenti, deve saper capire un attimo prima cosa si deve fare; deve avere una quota piuttosto alta di sensibilità ed elasticità per cui, se per trenta minuti non deve fare quasi niente, di colpo deve riuscire, se necessario, a fare trenta cose nello spazio di pochi secondi o minuti… dopo averne intuito la necessità.

Claudio l’aveva imparato in tedesco… e poi s’era trovato altrove col bagaglio della precisione, ma soprattutto s’era trovato solo. Sì, perché l’anestesista è spesso solo… e deve decidere da solo… tutto solo.

 

Claudio sapeva che il polso ha da dire la sua, e dopo quella preoccupante “bradicardia” senza extrasistolia aspetta che tutto ritorni come prima… soprattutto senza eventuali altri danni.

Sì, perché i medicamenti possono produrre dei danni!

 

Per fortuna il comportamento del cuore torna ad essere come prima e i due, Livia e Claudio, fanno “armi e bagagli” e abbandonano l’aria di mare per l’abitazione abituale nel Canton Ticino in Svizzera; sanno però che bisogna fare qualcosa, tanto più che avevano prenotato una settimana in un albergo a Merano… per Livia molto utile per potersi un po’ veramente riposare, non dovendosi in continuazione occupare delle faccende domestiche.

Del Centro Cardiologico non possono più fidarsi e hanno bisogno di sapere se devono disdire l’albergo in Alto Adige.

Claudio chiede aiuto al bravo cardiologo Dr. Bardelli. Non c’è ma telefonerà. Infatti telefona e, sembra un gioco di parole, fa telefonare per un appuntamento.

 

È già passato più di un mese da quando è iniziata questa storia!

Si pensi, magari solo per un attimo al fatto che questa donna ha cominciato ad essere disturbata da più di un mese e, pur essendosi recata subito nell’altisonante “centro”, ora deve rivolgersi a un cardiologo privato.

 

Livia, con Claudio, si trova ora nella sala d’aspetto del Dr. Bardelli, e ci restano per quasi un’ora, esattamente 55 minuti prima di essere chiamati.

“A parte il piccolo particolare che c’era un bel caldo torrido” si chiede oggi Claudio “per quale ragione un medico deve far aspettare così a lungo i pazienti che si rivolgono a lui? Se vien dato un appuntamento, si possono capire i cinque minuti, anche dieci, ma non un’ora. È una questione di organizzazione, di rispetto e di educazione; tutto questo indipendentemente dall’eventuale urgenza.”

 

Bisogna dire che il Dr. Bardelli è molto gentile e, oltre a fare molti esami a Livia, la visita pure con scrupolo e attenzione. Fra visite, esami, misurazioni della pressione arteriosa, elettrocardiogramma normale e sotto sforzo con camminata sul tapis roulant, Livia può risalire in macchina per tornare a casa con Claudio due ore dopo.

Il parere del Dr. Bardelli fu molto importante, perché Claudio e Livia avevano programmato di partire proprio il giorno dopo per una settimana di relax a Merano. Il parere del cardiologo fu positivo; disse infatti che non c’era nulla di grave e che non bisognava preoccuparsi. Disse solo che la pressione era un po’ alta, per cui prescrisse del Magnesio in bustine e un medicamento di nome Atacand.

Claudio è fiducioso; ha sempre avuto un buon rapporto coi cardiologi. Sì perché, facendo l’anestesista, più volte s’è trovato con situazioni difficili al limite dell’operabilità; proprio in quei casi la collaborazione col cardiologo fu importante.

Claudio non era così bravo come tanti altri anestesisti che sapevano tutto anche dal punto di vista cardiologico. Sì, l’anestesista lo sapeva fare, ma, quando usciva dal suo campo preferiva affidarsi agli specialisti… e questo lo tranquillizzava e, in un certo senso, gli dava maggiore sicurezza. L’anestesista, anche quando si trova a lavorare inquadrato in un organico con altri colleghi, nel momento in cui lavora, è solo, e, da solo deve risolvere il problema che si presenta… quando uno meno se l’aspetta.

 

Dopo la lunga visita, Livia è rimasta abbastanza soddisfatta, ma, potremmo definirla “prudente”. Ha preso atto della prescrizione, ma grazie a internet e al bugiardino è andata a verificare le controindicazioni del farmaco. Ha notato che, essendo lei stata “facile” a bronchiti e broncopolmoniti, quel medicamento avrebbe potuto scatenare o “aiutare” ulteriori problemi. Si rifiuta quindi di prendere quel medicamento e continua ad “accettare” le gocce che le dà Claudio dopo averla testata.

A certi livelli è possibile fare dei test perfettamente innocui che danno una certa sicurezza e tranquillità. In che modo? Con una “kinesiologia spicciola”… così l’ha definita Claudio.

Che gocce sono quelle che Claudio dà a Livia? Sono gocce omeopatizzate “ideate” dal Dr. Roberto Bruzzone che Claudio ben conosce.

 

 

 

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M’è capitato fra le mani questo brutto francobollo.

FRANCOBOLLO ITALIANO DEL 1965

Non si può appunto dire che sia un bel francobollo. Ci ricorda però un evento importantissimo, e cioè, come sta scritto sul francobollo stesso, l’unione autostradale fra Italia e Francia sotto la montagna più alta d’Europa.

Il traforo del Monte Bianco della lunghezza di quasi 12 chilometri fu inaugurato nel 1965.

Non fu neppure il primo tunnel del dopoguerra in Europa. Esattamente un anno prima, il 19 marzo 1964 fu inaugurata la galleria del Gran San Bernardo che collega l’Italia alla Svizzera, Aosta con Martigny in Vallese. Questa galleria è un po’ più corta… quasi 6 chilometri… ma con lunghe rampe d’accesso coperte per permettere il transito anche nei mesi invernali.

Fui particolarmente affezionato a questa galleria, perché la percorsi per la prima volta proprio alla fine di marzo del 1964… per andare a lavorare a Sion. Non rimasi molto in Vallese, ma, quasi ogni fine settimana, ogni 2 settimane, la galleria mi vide passare la frontiera per andare in Valle d’Aosta o a Torino. Qualche volta, per risparmiare il pedaggio della galleria, salivo fin sul colle a 2400 metri; fu, in occasione di uno di quei passaggi, all’imbrunire, che mi fermai come al solito alla Dogana Italiana. Un giovane Carabiniere, tutto solo, mi comunica che, essendo io italiano non posso entrare in Italia con un’auto targata svizzera. Non riesco in nessun modo a fargli “comprendere” che la macchina con la targa svizzera fa parte di un mio dovere, dato che abito e lavoro in Svizzera: “Non è che posso avere la targa svizzera, DEVO avere la targa svizzera.” Di sera, anche se è una calda estate, a 2400 metri sul livello del mare fa freddo. Prego il Carabiniere di chiamarmi un superiore… dato che, non solo desidero entrare in Italia, ma è un mio diritto.

Mi chiederete: “Com’è andata a finire?” Semplicemente entrai in Italia perché, dopo aver aspettato un po’ di minuti che arrivasse un superiore, dalla caserma dislocata un po’ più in alto, mi sentii dire che era tutto in ordine. Mentre rimettevo in moto la macchina e stavo per ripartire, però dissi al giovane Carabiniere: “Sa qual’è la differenza fra noi italiani e gli svizzeri? Che gli svizzeri conoscono i regolamenti… noi (dissi noi per non offenderlo)… un po’ meno.”

Le Poste Italiane non commemorarono l’avvenimento della Galleria del Gran San Bernardo con nessun francobollo. Per fortuna ci pensò la Svizzera con un francobollo da 5 centesimi.

FRANCOBOLLO SVIZZERO DA 5 centesimi.

Già che ci troviamo a parlare del Colle del Gran San Bernardo, non possiamo dimenticare che su quel colle ci sono quei grossi cani che, assieme ai monaci dell’Ospizio, assistevano i viandanti in difficoltà. Ci pensò l’Amministrazione postale svizzera a commemorare quei cani, e il colle, con un bel francobollo.

Francobollo del 1989

Nel francobollo è, fra l’altro, ben visibile l’Ospizio.

Se si raggiunge il colle per recarsi ad Aosta, si può ricordare che fece lo stesso percorso Napoleone Bonaparte nel maggio del 1800 con un’armata, pare di 60000 uomini… andava a fare la Battaglia di Marengo!

Sì, perché da sempre, se gli uomini non si picchiano e non s’ammazzano un po’ non sono contenti!

Lascio il Gran San Bernardo, quasi un po’ a malincuore, essendo quella strada da Martigny ad Aosta molto ben impressa nel mio passato di giovane medico. Furono infatti i tempi che mi fecero abbandonare per la prima volta l’Italia alla ricerca di, si dice così, un tozzo di pane e la possibilità d’imparare una professione senza dover “leccare”.

Nel 1967 è la volta del traforo del San Bernardino, in Svizzera, nel Canton Grigioni.

La Galleria del San Bernardino che fu inaugurata il 1° dicembre 1967, mette in comunicazione una parte italofona del Canton Grigioni con la parte in cui si parla tedesco. Questa galleria lunga 6 chilometri e mezzo permette ai grigionesi confinanti col canton Ticino di raggiungere il centro del loro cantone anche in pieno Inverno. Grazie a questo collegamento stradale il viaggio in Svizzera da nord a sud, e viceversa viene agevolato. Prima di questo collegamento, chi, durante la stagione invernale, desiderava andare in auto da Milano a Zurigo, arrivato ad Airolo doveva caricare la macchina sul treno e farsi trasportare fino a Göschenen. È ancora presto per poter pensare a un tunnel autostradale sotto il massiccio del S. Gottardo.

Le poste svizzere commemorano l’avvenimento con un verde francobollo.

San Bernardino.

Ho menzionato il particolare che una parte del Canton Grigioni parla italiano. Ci sono altre due zone dello stesso cantone che parlano italiano e sono la Val Bregaglia… quella che da Chiavenna va a St. Moritz e la Val Poschiavo o del Bernina. La prima è collegata col Passo del Maloja aperto tutto l’anno e la seconda col trenino rosso, famoso in tutto il mondo e patrimonio dell’UNESCO che da Tirano in Italia raggiunge Pontresina e St. Moritz attraverso il Passo del Bernina. Sono stato alcune volte su quel trenino… e ne vale la pena. Di seguito due foto dal trenino del Bernina fatte nell’agosto di qualche anno fa:

Da Poschiavo al Passo del Bernina.

Dal trenino come sul francobollo di Poste Italiane.

Osservate il francobollo:

Francobollo italiano del 2010.

Ero sul trenino proprio sul viadotto.

Come sul francobollo una parte del treno è ancora in galleria.

Qui si parla ancora italiano. Il treno raggiungerà dapprima il Passo del Bernina e scenderà poi verso Pontresina… località turistica molto conosciuta al bel mondo… mai come St. Moritz che sarà un punto d’arrivo per scendere con l’auto o il bus verso Como, o continuare col treno verso Coira o Zurigo.

Ora però, dovremo prendere in considera il trafficassimo tunnel autostradale del S. Gottardo che mette in comunicazione il Canton Ticino col Canton Uri e la Svizzera dove si parla tedesco.

La Galleria del San Gottardo è lunga quasi 17 chilometri; è stata inaugurata il 5 settembre 1980 e, da quel momento ha conosciuto un traffico che potremmo definire imponente. Infatti, non è raro sentire i bollettini che parlano di molti chilometri di auto in attesa… questo naturalmente in occasione delle feste particolari in cui la massa dei vacanzieri piomba in Italia dal nord o in piena estate.

Anche in questo caso le Poste svizzere hanno ricordato l’avvenimento con un francobollo.

Francobollo svizzero del 1980

Questa, fu per 20 anni la galleria stradale più lunga d’Europa. Dal 2000 il record appartiene a una galleria norvegese sulla tratta Oslo Bergen.

Sarà interessante vedere in futuro i trafori ferroviari.

 

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PER FAVORE NON SCRIVERE MI PIACE SE NON L’HAI LETTO TUTTO.

LA RIPRODUZIONE DELL’ARTICOLO È VIETATA

 

 

Registrazione del 25 giugno 2017

Personaggi:
L’Albero, Passante Alessandro, Panchina Petulante, Panchina Ingenua, Albero Conifera.

 

L’Albero: “Mi fa piacere sapere che sei fra noi.”

Passante Alesandro: “Per quale ragione sei così… quasi affettuoso?”

Panchina Ingenua: “Se ti siedi su di me, sarò veramente affettuosa. Ho voglia di coccolarti.”

L’Albero: “Avanti Ingenua, non essere così. Lo sai che Alessandro è una persona seria.”

Ingenua: “Ma io gli voglio bene. Che male c’è se gli massaggio il sederino?”

Alessandro: “Smettetela. Dimmi perché sei contento di vedermi. È successo qualcosa di particolare? Altrimenti me ne vado senza neppure sedermi un attimo.”

L’Albero: “Semplicemente volevo discutere con te quello che abbiamo visto su un libretto che stava leggendo una signora seduta su Petulante.”

Panchina Petulante: “Sì era seduta su di me e stava leggendo un libretto di una Cassa Malati… parlava di prestazioni ambulatoriali.”

…della Cassa Malati…

Alessandro: “Cosa diceva di particolare? Mi siedo.”

L’Albero: “Io da qui l’ho fotografato. Dice, in poche parole, che faranno sempre di più interventi chirurgici ambulatoriali, cioè che, noi l’abbiamo capita così, per certi interventi non ci sarà più il ricovero in ospedale, ma, fatto l’intervento il paziente operato potrà tornarsene a casa… come se niente fosse. Non so che tipo di assistenza potrà avere quando sarà a casa e gli farà male dove sarà stato operato…”

Alessandro: “Ho capito perfettamente… e non è il caso di preoccuparsi più di quel tanto; bisognerebbe invece arrabbiarsi, e anche molto perché, anche se fanno finta di considerare il tutto sotto il gusto dell’efficienza, certi vantaggi sono solo ed esclusivamente a beneficio dell’assicuratore. Il paziente che, essendo malato dovrà in ogni caso essere considerato sofferente, sarà quello che non avrà il postoperatorio con la dovuta assistenza.

L’Albero: “Ti chiedo: Gli umani, almeno quelli che dirigono le assicurazioni cosiddette sociali, hanno presente la considerazione che “lavorano” per qualcuno che, essendo malato soffre, o “contemplano” solo i numeri e il fatto che, in ultima analisi, quei sofferenti porteranno loro degli utili?”

Alessandro: “È una domanda vera o soltanto una battuta ironica? Purtroppo, salvo rari casi, gli Ospedali non ci sono solo per curare i malati.”

Ingenua: “Ma cosa dici caro Alessandro… Per chi dovrebbero esserci?”

Alessandro: “Vi potrà sembrare strano, ma ci sono per chi ci lavora dentro; non solo per l’egoismo e la superbia di alcuni medici, ma anche per la comodità di chi lavora nei vari servizi.”

Petulante: “Non riesco a seguirti. Stai dicendo qualcosa di assurdo. Come fai a pensare quello che hai appena detto.”

Alessandro: “Due semplici esempi:

Negli ospedali si cena molto presto; in certi ospedali svizzeri troppo presto rispetto all’ora in cui il paziente cenerebbe se fosse a casa. Perché? Perché così gli addetti alla ristorazione possono tornare a casa in un’ora per loro potabile.

Gli interventi operatori vengono eseguiti già alla mattina, anche abbastanza presto, anche se l’ora migliore per il paziente sarebbe nel pomeriggio. Perché così fa comodo all’equipe medica che, salvo chi è di turno, potrà tornare a casa in famiglia.

Ci sarebbero altri piccoli esempi significativi… ma non vorrei dilungarmi.”

L’Albero: “Tornando all’incremento degli interventi ambulatoriali, pensi quindi che sia solo una questione economica? Oggi i soldi sono diventati così importanti?”

Alessandro: “Ma certamente, e non solo oggi. Oggi in modo esagerato, al punto che il divario fra ricco e povero è aumentato in un modo folle.”

L’Albero: “Penso proprio che tu abbia ragione. Guarda un po’ cosa mi mostrò un vecchio collega… lui che c’era già durante la Seconda Guerra Mondiale:

 

La Didascalia della vignetta: “Cari ragazzi non siete morti invano.”
Da Simplicissimus

 

Petulante: “È terribile! Grazie ai morti che ci permisero di scrollarci di dosso la tirannia del nazismo, la Borsa ha fatto guadagnare molti soldi.”

L’Albero: “Un attimo per favore. Mi sta chiamando la Conifera da Lavena Ponte Tresa in Italia. Ha qualcosa da dirmi. Ha sentito che stiamo parlando di ingordigia pecuniaria.”

CONIFERA

Albero Conifera: “Ciao amico e ciao ragazze. Sentivo che state parlando di soldi. Forse ancora non lo sapete, ma è una notizia recentissima.

Avete mai sentito parlare di un umano Fabio Fazio? A me è antipatico, e poi sembra pure tonto, ma è bravo e ci sa fare.”

Petulante: “Sì certo; è quello che sembrava un po’ comunista… in ogni caso socialista e impegnato per le cose giuste?… o apparentemente tali?”

Conifera: “Sì, proprio quello. Quello che fa sempre parlare l’umana Littizzetto… che fa abbastanza ridere e parla spesso del Walter e della Jolanda.”

Ingenua: “Non farci star sulle spine; cosa ha fatto?”

Conifera: “Avrebbe firmato un contratto con RAI 1; arriverà a percepire uno stipendio, o un guadagno o qualcosa del genere come 2.800.000 Euro all’anno.”

L’Albero: “A me sembra esagerato. Anche se è molto bravo. Ma, caro umano Alessandro, anche senza essere socialisti o comunisti come quelli che dicono che è tutto di tutti, non ti sembra che voi umani stiate correndo un po’ troppo dietro ai soldi? Anche qui in Svizzera si corre dietro ai soldi come se fossero noccioline.”

Alessandro: “Anche qui nel Canton Ticino. Ho sentito dire di un ticinese che in un anno s’è messo in tasca qualcosa come 12 milioni di franchi.”

L’Albero: “Certo che l’umano Fazio, in questo caso, fa quasi ridere… e sembra che possa rischiare di essere annoverato fra i poveri con solo 2 milioni e 800.000 Euro all’anno!!! Ma non credere che l’Umano ticinese sia il più ricco “come dipendente”. Le case farmaceutiche versano ai loro capi anche tanti milioncini.”

Conifera: “Non so com’è da voi in Svizzera, e non so neppure com’è qui da noi in Italia, c’è però in me la consapevolezza che, con la scusa di curare chi soffre, troppi “Grandi” s’arricchiscono… ed è un gran peccato perché mi sembrerebbe, da albero, che gli umani potrebbero avere una vita migliore se evitassero il dio soldo tanto come punto di partenza quanto come punto d’arrivo. Potremo parlarne coll’amico Alessandro… che faceva il medico… ed è ancora medico.”

Ingenua: “Certamente il mio amicone Alessandro è d’accordo. E spero che venga sempre a scaldare i miei legni… ed io gli farò tante coccole. Senti Alessandro i miei massaggini?”

Alessandro: “Non devi mica dirlo a tutti.”

Ingenua: “Scusami… ma cosa c’è di male se dico che sei il mio Umano preferito?”

Alessandro: “Lasciamo perdere. Ora vado via e vi saluto tutti e tutte con affetto.”

L’Albero e Petulante: “A presto Alessandro.”

Conifera: “A presto.”

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21 gennaio 2017

Petulante: “Passante? E fermati un attimo.”

Passante: “Ho molta fretta. Cosa vuoi dirmi?”

Petulante: “Sei tu che devi dirmi: laggiù vicino al Gran Sasso d’Italia hanno salvato altri umani? Tu hai la possibilità di vedere su internet; l’Alberone sul Lungolago e i suoi fratelli dormono e non ci dicono niente”.

Passante: “Senti, è molto bello poterti dire che ne hanno estratto vivi da quell’albergo “invaso” dalla slavina sicuramente 9 forse 10; e, anche se c’è un ferito, stanno tutti piuttosto bene”.

Petulante: “Ma che bello! Hai sentito anche tu Ulivo?”.

Ulivo: “Certo che ho sentito… che bella notizia.”

Ingenua: “Evviva, evviva… una notizia così bella scalda i legni della mia panchina”.

Ingenua... la sorella di Petulante.

Ingenua… la sorella di Petulante.

Ulivo: “Ma tu passante, lo so che facevi il medico, che effetto ti fa sentire che in tantissimi hanno lavorato giorno e notte per sperare di salvare delle persone, quando un po’ più in là degli umani, in nome di Dio, sembra si divertano a giocare con la vita di chi non la pensa come loro e alcuni umani come te vengono decapitati?”

Petulante: “Ho pensato la stessa cosa.”

Passante: “Mi piange il cuore… anche pensando che la Comunità mondiale, che a suo tempo fondò l’ONU, rimane a guardare perché non riescono a mettersi d’accordo. Sapeste quante volte, di giorno e di notte, abbiamo lottato in ospedale per salvare una vita e quelli, e non solo quelli, oltraggiano il mistero della vita… sì perché la vita è un mistero.”

Ulivo: “Ma non credi che anche certi gradi di malvagità degli umani possa essere considerato un mistero?”

Passante: “Hai perfettamente ragione. Ne potremo riparlare; ora devo proprio andare. Ciao a tutti.”

Petulante e Ulivo: “A presto. Ci piace chiacchierare con te.”

 

 

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venerdì 13 gennaio 2017

 

L’Ulivo: “Stanotte ho dormito poco mentre nevicava… mi son sentito schiacciare sempre di più. E poi, noi ulivi non amiamo il freddo intenso. Ho sentito quello che dicevate l’altro giorno. Non ho voluto interrompere perché l'”Albero” era un po’ assonnato. Quello che mi ha colpito di più di tutto quello che sta succedendo è che quella città che oggi si chiama Istanbul, fu fondata e inaugurata nel 33o dal grande Imperatore Costantino e si chiamò Costantinopoli. ”

L'Ulivo innevato!

L’Ulivo innevato!

Petulante: “Anch’io stanotte ho sofferto… più che altro per voi alberi. Riguardo a Costantino è vero! E fu proprio Costantino quello che diede la libertà ai cristiani.”

La "Petulante" fresca di neve.

La “Petulante” fresca di neve.

L’Ulivo: “E lui stesso si convertì al cristianesimo.”

Petulante: “Quindi Costantinopoli potrebbe essere considerata anche la culla della cristianità; proprio là dove l’Islam vorrebbe crescere ulteriormente e rischia di radicalizzarsi.”

Passante: “Buon giorno. Oggi fa freddo e non posso neppure sedermi un po’ su di te. Sei piena di neve.”

Petulante: “Mi dispiace. Anche mia sorella ha neve. Oggi pomeriggio dovrebbe venire vento forte; sicuramente porterà via la neve dagli alberi… anche dal mio albero.”

Passante: “Ma voi avete sentito che anche a Izmir (Smirne) c’è stato un attentato con dei morti? M’è dispiaciuto molto, non solo perché è diventato insopportabile questo “sport” di ammazzare i propri simili come se fosse un videogioco, ma anche perché io ci sono stato a Smirne.”

Albero: “Buon giorno a tutti.”

L'albero... la neve gli fa il solletico.

L’albero… la neve gli fa il solletico.

Petulante: “Sei sveglio? Ti abbiamo svegliato noi?”

Albero: “No no. È la neve che è caduta stanotte. Mi faceva il solletico… ogni fiocco che si posava…”

Passante: “Come dicevo, a Smirne c’ero stato e, mi era piaciuto molto vedere per la strada che c’era la bancarella che vendeva spremute di melograno.”

Bancarella a Smirne

Bancarella a Smirne

Albero: “Chissà che gusto ha. Noi beviamo solo con le radici. Dicevi di Smirne e dell’attentato. Ho pensato una cosa e cioè che l’attentato fa notizia anche se i morti sono “solo” 3 o 4. Qui c’è molta malvagità… sicuramente al limite della pazzia; ma i morti per freddo di quelle persone che hanno perso tutto a causa del “Malgoverno”, non sembra che siano ufficialmente defunte per mano di qualcuno malvagio al limite della pazzia, ma, semplicemente perché non erano riuscite a sopportare il freddo o perché chi avrebbe dovuto proteggerli (o aiutarli) ha preferito sentirsi importante andando magari in giro per il Mondo coll’aereo pagato dai contribuenti predicando “amore” verso il popolo? Ma questi “Governanti” non possono essere considerati al limite della pazzia, però un poco malvagi sì.”

Passante: “Caro Albero, credo proprio che tu abbia ragione. In Italia c’è tanta gente che muore di fame e deve ricorrere alla carità di molte organizzazioni.”

Ingenua che è sempre stata zitta: “Ma se certi Governanti hanno “lavorato” male e hanno permesso certe sofferenze gratuite, perché non vengono giudicati e, se considerati colpevoli, messi in galera?”

Petulante: “Cara sorella, sei proprio ingenua. Certa gente è intoccabile, e non bisogna mai pensar male di loro. Sai, per quanto lavorino male, c’è tanta gente che li osanna. Parlando male bisognerebbe dire che gli lecca quella parte che viene appoggiata su di noi panchine.”

Ingenua: “Ho detto qualcosa di sbagliato?”

Petulante: “Abbastanza. Loro non sbagliano mai, e, se sbagliano fanno carriera.”

Albero: “Lo capto sovente dai miei colleghi. Loro non sbagliano mai.

Ulivo: “Però, da quello che sento, gli umani o s’ammazzano fra di loro o viene loro permesso di morire dal Malgoverno. E poi ci sono quelli che s’abbuffano come maiali, diventano schifosamente grassi, e poi, per non morire, vanno dal dietologo.”

Albero: “Ma perché parli così male degli umani?”

Ulivo: “Ma io non ne parlo male. Semplicemente mi fanno ridere.”

Passante: “Caro Ulivo, quelle che hai menzionato, e che ti fanno ridere, sono una piccola parte delle “sofferenze gratuite”; sapessi, per esempio cosa succede negli ospedali! Ora vado a casa al caldo, perché stare qui in piedi a chiacchierare con voi è bellissimo, però mi vengono i piedi freddi; e poi, c’è mia moglie che mi aspetta.”

Tutti insieme: “Ciao, e tanti saluti a tua moglie.”

 

 

 

 

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